Politica

L'illusione del Renzi liberista senza la zavorra della sinistra

Se torna a Palazzo Chigi con un Pd più moderato sarà condannato comunque a distribuire mance a tutti

L'illusione del Renzi liberista senza la zavorra della sinistra

Il Partito democratico si spacca e consegna al Paese l'immagine di una politica rissosa e fine a se stessa. L'ex premier e segretario dem fino all'altro ieri, Matteo Renzi, vola negli Stati Uniti e sul suo blog scrive: «Mentre la politica italiana post-referendaria litiga su tutto o quasi, il mondo fuori continua a correre. Ho deciso di staccare qualche ora...». Ecco, se fossi una persona vicina a Renzi sarei francamente molto preoccupato per il suo equilibrio, e non solo.

Ma giusto per linearità intellettuale vorremmo segnalare ai lettori che colui che ha trasformato la politica italiana in un ring in questi ultimi tre anni ha un nome e cognome: sempre lui, Matteo Renzi. Che poi il fiorentino voglia fare il fenomeno, andando negli States a studiare, dice lui, la green economy, la dice lunga sulla caratura del personaggio. Voyage en Amérique di un aspirante Tocqueville? Mah...

In questo equivoco permanente ieri ho letto con stupore il colloquio di Francesco Giavazzi con Il Foglio. La tesi? Con la scissione del Pd Renzi può trasformare la sinistra in senso liberista.

L'editorialista del Corriere della Sera esalta la figura di Renzi («il Jobs Act è un'innovazione straordinaria», «se credo che la vera sinistra abbia bisogno di liberismo voto Renzi») e ricordando un suo libro Il liberismo è di sinistra scritto dieci anni fa con Alberto Alesina sottolinea: «Renzi dieci anni fa non c'era. L'offerta politica della sinistra era Prodi, Bersani e D'Alema. Un'altra generazione che alcune cose non poteva capirle, l'unico che doveva capirle era Prodi. Ora le chance sono più alte se questo ragazzo riesce a riprendersi in mano il partito».

Per il resto Giavazzi non risparmia critiche al centrodestra («Liberalizzazioni? Berlusconi non ha fatto nulla, ricordo che Brunetta era contrario. Nel centrodestra non c'è più nulla») e agli scissionisti del Pd («Saranno quattro gatti, uno che vota a sinistra vota per Pisapia. Se sono un elettore di sinistra voto lui, non voto D'Alema»).

Stimo e rispetto il professor Giavazzi, molto spesso condivido le sue analisi, ma non posso esimermi dal criticarlo quando nel farle fa cadere nell'oblio intere parentesi che non possono essere aperte e chiuse senza esplicitarne il contenuto. A parte il Jobs Act, che viene esaltato a mio avviso in modo ingiustificato, che giudizio dà Giavazzi in merito ai mille giorni di Renzi a Palazzo Chigi? Come giudica le pseudo riforme portate avanti dal fiorentino? Hanno fatto bene o meno al Paese? E le corporazioni, che Giavazzi critica, sono state scalfite dall'azione di Renzi o magari (vedi dipendenti pubblici) ne sono uscite rafforzate? Se il buongiorno si vede dal mattino...

Ci permettiamo di analizzare in modo schematico e per punti i passaggi e i provvedimenti chiave con i quali abbiamo avuto a che fare negli ultimi tre anni. 1. Riforma costituzionale bocciata (60% a 40%) dal referendum del 4 dicembre 2016; 2. Italicum caduto con la bocciatura della riforma costituzionale e con la sentenza della Corte del 25 gennaio 2017; 3. Jobs Act: 20 miliardi buttati senza creare buona occupazione, con disoccupazione al 12% e disoccupazione giovanile 40,1%; 4. Bonus 80 euro: 10 miliardi all'anno spesi lasciando consumi e crescita al palo; 5. Buona Scuola: 3 miliardi e 120.000 assunzioni hanno creato solo caos tra docenti, studenti e famiglie; 6. PA: riforma affossata dal Consiglio di Stato, con parallela resa al sindacato; 7. Banche: dopo il fallimento di Banca Etruria, Banca Marche, CariChieti e CariFerrara, 150.000 truffati e 4 decreti, per salvare Mps e mettere in sicurezza il sistema sono serviti 20 miliardi; 8. Immigrazione: l'invasione che stiamo subendo (181.436 migranti sbarcati nel 2016) è soprattutto segno che Renzi in Europa non ha contato nulla; 9. Più tasse, più debito, più deficit e nessuna spending review: la pressione fiscale è aumentata di un punto di Pil, dal 41,6% al 42,6% e continuerà ad aumentare con la manovra correttiva. Il debito è aumentato di 121,8 miliardi, il deficit per il 2016 doveva attestarsi all'1,5% e invece ha chiuso al 2,4%, la spesa pubblica aumenta di 20,5 miliardi fino al 2019 (pari al 2,4% in più in 5 anni); 10. Terremoto: nonostante 3 decreti, popolazioni abbandonate, confusione di ruoli, Protezione civile smantellata.

Cosa resta agli italiani dopo i mille giorni di Renzi? Un mucchio di polvere in mano, un Paese dilaniato, una manovra correttiva da 3,4 miliardi (0,2% del Pil) da fare in fretta per evitare una procedura d'infrazione da parte dell'Ue, una manovra da 30-40 miliardi da fare a fine 2017 per limitare i danni sui conti pubblici della politica economica disastrosa di Renzi-Padoan.

L'unica riforma degna di questo nome era quella sulla cosiddetta concorrenza. Che fine ha fatto? È insabbiata al Senato, bloccata da veti e controveti all'interno della maggioranza.

Il professor Giavazzi dice che Renzi, sfruttando anche la scissione del Pd, potrà portare il liberismo a sinistra. Sbagliato! Renzi dovrà, invece, coprirsi a sinistra dalle bordate che arriveranno da Orlando (dinamico e bravo giovane-vecchio comunista con una tradizione da vecchio Pci; «ho deciso di candidarmi perché credo e non mi rassegno al fatto che la politica debba diventare solo prepotenza», le prime parole non proprio rassicuranti dopo aver annunciato la sua corsa alla segreteria) e da Emiliano (altrettanto bravo meridional grillino che userà toni da battaglia per risollevare la sua immagine dopo le giravolte sulla scissione; «Renzi ha preferito eliminare gli avversari dal campo con i picadores di turno al fine di favorire il comando di un uomo solo», il suo ultimo complimento al fiorentino pronunciato durante la direzione Pd del 21 febbraio).

Per non parlare della strategia che l'ex segretario dovrà mettere in campo per osteggiare la possibile buona riuscita dell'operazione messa in atto da Bersani-D'Alema. Allo stesso tempo Renzi dovrà lasciar intravvedere il suo finto «moderatismo» tentando di conservare il pacchetto di voti post democristiani che ancora il suo Pd riesce a raccattare.

Per riuscire in quest'impresa Renzi farà zig zag su tutto. Viva i giovani e i pensionati, viva i lavoratori autonomi e i dipendenti pubblici, viva gli studenti e i baroni universitari, viva la famiglia e le unioni civili, viva la green economy e i petrolieri, viva gli obbligazionisti truffati e i banchieri, viva il risparmio dei cittadini e i finanzieri della City, viva i magistrati e la riforma della giustizia dalla parte dei cittadini.

Farà come ha fatto nei suoi mille giorni a Palazzo Chigi: il populista peronista 4.0. Altro che liberismo, caro Giavazzi, tornerà con prepotenza la logica delle mance, dei bonus, delle marchette, degli annunci. E lo dice un suo collega che in questi anni ha vissuto ciò di cui parla dalla faticosa trincea del Parlamento e non dalle vellutate e prestigiose colonne della prima pagina del Corriere della Sera.

Renzi inaugurerà lo «zigzaghismo», una riedizione in salsa fiorentina del fallimentare «maanchismo» di veltroniana memoria. Una sciagura per ciò che resta del Partito democratico (o Partito di Renzi che dir si voglia) una sciagura per l'Italia, per i suoi conti, per la sua credibilità internazionale.

Un pericolo al quale il centrodestra unito di governo dovrà rispondere con una proposta autentica e credibile, per dare speranza al Paese, per invertire la marcia, per completare quelle riforme che, forse Giavazzi dimentica, sono già la storia del buon governo di Silvio Berlusconi in dieci degli ultimi vent'anni.

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