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L'imbarazzo di Di Maio: "Resti ma non attacchi i pm"

Il leader teme le urne e esclude dimissioni dell'alleato ma è in allarme per i malumori di Fico e dei militanti

L'imbarazzo di Di Maio: "Resti ma non attacchi i pm"

Luigi Di Maio teme il contraccolpo che l'inchiesta della Procura di Agrigento sul caso della nave Diciotti potrebbe avere sul governo e sulla tenuta della maggioranza gialloverde. Il leader del M5S si «aggrappa» a Matteo Salvini e rivendica la compattezza dell'esecutivo. Terrorizzato dall'idea che il ministro dell'Interno, dopo l'iscrizione nel registro degli indagati per i reati di sequestro di persona, arresto illegale e abuso d'ufficio, decida di far saltare il tavolo. «In questi giorni non è mancata la compattezza del governo» puntualizza su Facebook Di Maio. «Devo ringraziare il ministro degli Esteri Moavero e il premier Conte perché abbiamo fatto un gioco di squadra che sarà molto importante per le altre emergenze. Siamo stati compatti sulla linea da tenere, anche perché bisognava contrattare con altri Paesi. Il governo è stato ed è compatto sulle decisioni prese».

Parole che servono ad allontanare lo scenario di una spaccatura nell'esecutivo. Di Maio rinnova anche la fiducia al ministro indagato ma soprattutto gli chiede di restare al proprio posto. Contemporaneamente, però, nel medesimo video su Facebook, il vicepremier grillino invita a non alzare i toni contro i magistrati: «È nostro diritto attuare il programma elettorale, ma è diritto dovere della magistratura portare avanti procedimenti giudiziari. Pieno rispetto per la magistratura».

A quasi tre mesi dalla nascita del governo Conte, la leadership nei Cinque stelle è in declino, insidiata dall'avanzata dell'ala ortodossa e dai capi del futuro, Roberto Fico e Alessandro Di Battista. E soprattutto, nei primi tre mesi di governo il M5s è stato schiacciato, politicamente, dall'alleato leghista. Di Maio, che doveva essere il premier ombra dell'esecutivo, non è riuscito a capitalizzare in consenso e risultati politici l'occasione di occupare contemporaneamente tre poltrone: ministro del Lavoro, dello Sviluppo economico e vicepremier. Così, a causa dell'inchiesta di Agrigento, è terrorizzato che tutto il governo vada per aria.

Il ministro del Lavoro dosa le parole per non urtare troppo il ministro dell'Interno, che potrebbe decidere di staccare la spina, spedendo nella «disperazione» l'altro vicepremier. Ma deve lavorare anche sul fronte interno, per «salvare» poltrona e leadership. L'obiettivo è contenere la fronda vicina al presidente della Camera, Roberto Fico, che sulla nave Diciotti si è ufficialmente smarcata dalla linea di Di Maio e del governo. Nonostante il ministro grillino abbia smentito la telefonata con Salvini, nella quale esternava il proprio disagio perché la base del Movimento è in fermento, i malumori interni si moltiplicano di ora in ora. Tanto che Di Maio, se da un lato si lancia tra le braccia di Salvini «pregandolo» di non staccare la spina, dall'altro rispolvera il repertorio grillino di stampo comunista per ammorbidire l'ala vicina a Fico. In questa direzione vanno lette le dichiarazioni che annunciano lo stop al Ceta, il trattato di libero scambio tra il Canada e l'Unione Europea, e il ritorno alle nazionalizzazioni. E poi la minaccia di scaricare le colpe sull'Europa, se la prossima manovra non rispetterà la promesse elettorali: «Faremo una legge di bilancio coraggiosa, che mette al centro i cittadini e se ci hanno trattato così con l'immigrazione, immagino come ci tratteranno sui conti. Confido nel fatto che questi burocrati europei prendano coscienza che politicamente hanno le ore contate».

Di Maio prova a rifiatare, consapevole che l'autunno sarà caldissimo, soprattutto per lui.

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