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L'incertezza ci costerà 1,5 miliardi in più

Dal Pil che rallenta alla crescita in calo, tutti gli indicatori confermano l'allarme

L'incertezza ci costerà 1,5 miliardi in più

Roma - Non è un rapporto facile quello di questo governo con gli indicatori economici. Ieri, proprio nel giorno del giudizio di Fitch, l'Istat ha certificato un rallentamento del Pil nel secondo trimestre dell'anno. Tra aprile e giugno la crescita si è fermata allo 0,2%, rispetto allo 0,3% dei primi tre mesi dell'anno. Frenano i consumi delle famiglie. Circostanza che ieri ha fatto insorgere le associazioni dei consumatori e quelle dei commercianti. Il Paese - afferma Confesercenti - ha bisogno di una potente cura ricostituente» e «le speranze di cittadini e imprese sono riposte nella prossima legge di bilancio», che dovrebbe attuare «una riforma fiscale degna di questo nome» e «liberare la capacità di spesa delle famiglie e riavviare il motore dei consumi, responsabili di circa il 60% del nostro Pil». Preoccupati anche i consumatori. Il presidente dell'Unc, Massimiliano Dona, invita il governo a «ridare capacità di spesa a chi fatica ad arrivare alla fine del mese».

Anche dalla finanza pubblica arrivano notizie poco rassicuranti. I quasi cento giorni del governo guidato da Giuseppe Conte sono stati segnati da un aumento costante dello spread, cioè del differenziale tra i rendimenti del Btp decennale italiano e lo stesso titolo tedesco. Dai 215 punti di base del giugno scorso ai 290 punti di ieri.

Lo spread è un indice della fiducia che i mercati internazionali ripongono sul paese che garantisce il debito. Maggiori rendimenti significano minore fiducia, ma anche più spesa pubblica.

Quanto dovremo pagare in più per piazzare i titoli del nostro debito lo ha calcolato Carlo Cottarelli, ex commissario alla spending review. Nel giugno scorso l'incertezza politica aveva già fatto impennare lo spread e l'Osservatorio conti pubblici di Cottarelli stimò una maggiore spesa di 4,5 miliardi di euro. Il 30 di agosto l'Osservatorio ha rivisto la previsione alla luce dei successivi aumenti dei rendimenti dei titoli di stato: più 6 miliardi. La differenza tra il prima governo gialloverde e il dopo è di 1,5 miliardi di euro.

A rendimenti che aumentano, corrisponde una diminuzione del valore dei titoli di stato italiani. Chi ha comprato prima delle elezioni ha perso.

Il clima si è fatto sentire pesantemente anche in Borsa. Il Ftse Mib negli ultimi sei mesi ha perso il 10,8%. Nell'ultimo mese il 7,6%. Tra i settori più colpiti quello delle banche. Il Ftse Italia Banche ha perso il 27,5% in sei mesi e il 15,22% nell'ultimo mese. Cali che non possono essere imputabili allo stato delle banche italiane, ma che se proseguissero renderebbero gli istituti di credito scalabili da gruppi stranieri. A scapito delle nostre imprese.

La novità degli ultimi mesi, anche in questo caso non positiva, è una ripresa dell'inflazione, confermata ieri dall'Istat. Ad agosto è accelerata all'1,7% su base annua dall'1,5% di luglio, con i prodotti ad alta frequenza di acquisto al +2,8%. Colpa soprattutto, ha spiegato Confcommercio, dalle componenti legate all'energia. Una inflazione «largamente importata».

L'aumento dei prezzi non favorisce il nostro commercio, quindi, e fa diminuire il potere d'acquisto.

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