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L'incredulità dei geologi "Uccisi da una piccola scossa"

Mario Tozzi, ricercatore del Cnr: «In Italia manca la cultura della prevenzione. Eppure basterebbe poco»

L'incredulità dei geologi "Uccisi da una piccola scossa"

«Vi prego, piantiamola di chiamarlo terremoto forte, questo è debole/medio-basso. Di forte non c'è proprio nulla». Mario Tozzi, geologo e ricercatore del Cnr, non ha dubbi: un sisma di magnitudo 4.0 come quello che ha colpito Ischia non avrebbe dovuto provocare tutti questi danni. Invece, purtroppo, il bilancio parla di due morti, decine di feriti e tre bambini salvati per miracolo dalle macerie.

Secondo Tozzi «ignoranza, malaffare e scarsa memoria» sono le cause che stanno alla base di costruzioni eseguite male e della manutenzione inadeguata. L'intensità, stavolta, non è un fattore determinante. «Il terremoto del 1883 sì che è stato forte, questo non lo è», ricorda il geologo che non si sbilancia sugli sviluppi futuri che potrebbe avere questo sisma. Al momento, infatti, non è possibile sapere se e quante scosse di assestamento potranno esserci nei prossimi giorni. Tutto «dipende dall'attività della camera magmatica».

«I terremoti è impossibile prevederli ma è bene tenere l'attenzione alta», spiega Tozzi parlando dell'eventualità che il Vesuvio si risvegli: «Non capisco perché pensiamo al vulcano come a un elemento dormiente, continua a manifestare la sua attività e bisogna tenerla sotto controllo». «Se il Vesuvio facesse un'eruzione come quella del 79 dopo Cristo, cioè quella di Pompei ed Ercolano, avremmo un esodo più che un'evacuazione perché nessuno torna indietro da una cosa del genere», ammonisce il ricercatore del Cnr. Se, viceversa, ci fosse un'eruzione come quella del 1531, allora avremmo uno scenario meno catastrofico ma in entrambi i casi «ci sarebbe il tempo per organizzare dei piani di evacuazione anti-esodo», anche se non sempre ci sono delle avvisaglie dell'arrivo di un terremoto. «Normalmente tutti gli sciami sismici, per il 90%, finiscono senza dare un terremoto forte. Non è una regola che ci sia un avvertimento prima», chiarisce Tozzi.

Quali siano le aree più a rischio, però, si sa da tempo: «C'è tutto l'arco appenninico dalla Garfagnana fino allo Stretto di Messina. Poi tutta l'Irpinia, l'Aspromonte, la Calabria e la zona di Catania, forse quella più a rischio, e infine l'area della Pianura padana come abbiamo visto nel 2012».

In sintesi, tutta Italia è un territorio sismico, eccetto, forse, la Capitale. «È vero che tutti i laghi attorno a Roma sono vulcani la cui attività è tarda, cioè non sono spenti ma precisa Tozzi - le loro ultime attività importanti sono state migliaia di anni fa e perciò non destano preoccupazioni».

La Capitale rischia solo di incorrere nel risentimento dei terremoti dell'Appennino anche se «in questo caso conta più la resistenza del patrimonio costruttivo». Per mettere in sicurezza le zone più a rischio basterebbe fare la giusta prevenzione. Che, però, ha un costo. Ma, a volte, la mancanza di soldi è solo una giustificazione che non ha motivo di esistere: «È possibile fare prevenzione anche con poco. Non c'è mica bisogno di ricostruire da capo dice Tozzi -. Bisogna fare piccoli interventi e monitorare gli edifici pubblici: scuole, ospedali, sedi governative, amministrative e comunali». Ma non è sufficiente. Anche i privati devono fare la loro parte e non sono sempre necessari interventi costosi.

«Per evitare i morti in quella casa di Ischia, forse, bastava infilarci delle chiavi e dei tiranti che tenessero i solai solidali con le mura», spiega il geologo che, in fondo al tunnel, vede una speranza. «Amatrice e Ischia ci dicono che ci siamo mossi male, mentre Norcia viene ripopolata perché si è ricostruito bene».

Tozzi, infine, rivolge un invito anche ai sindaci dei Comuni a rischio: «Sarebbe un bel segnale se, insieme alla ricostruzione, pretendessero la demolizione degli immobili abusivi in territori a rischio.

Ma credo che non la vedrò».

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