Cronache

L'indagine mai decollata riparte col Dna di Stasi

A sette anni dal delitto di Garlasco, nuovo test genetico per il fidanzato della vittima: ma dopo tutto il tempo trascorso a cosa potrà servire?

L'indagine mai decollata riparte col Dna di Stasi

Inseguire una verità che forse era a portata di mano sette anni fa, e che invece per inettitudine e spocchia è stata lasciata scivolare e rendersi evanescente: fino a quando un caso in fondo semplice si è trasformato in un cold case dove ogni accertamento è più difficile, e passaggi un tempo banali dell'inchiesta oggi appaiono quasi impossibili. Questa è la sintesi della inchiesta bis sull'omicidio di Chiara Poggi, ammazzata nella sua villa di Garlasco nell'agosto di sette anni fa. L'ultima, surreale puntata di questa inchiesta a scoppio ritardato va in scena ieri mattina, in un ufficio dell'università di Genova, dove arriva il giovane uomo che di questa inettitudine è stato forse il miracolato o forse la vittima collaterale: Alberto Stasi, primo e unico indagato, sempre assolto e mai davvero uscito di scena. Apre la bocca, lascia che i tamponi dei medici prelevino un po' della sua saliva. Lo aveva già fatto sette anni fa, ed era stato assolto. Che possibilità ci sono che, per quanti progressi la tecnica del Dna (veri o presunti: vedi il caso di Yara e di Bossetti, che di questa tragedia appare destinato a diventare l'epigono processuale) abbia fatto nel frattempo, il tampone prelevato ieri incastri il biondo ex bocconiano? Tenendo poi presente che se anche sulle unghie di Chiara ci fosse la pelle di Alberto questo non dimostrerebbe nulla, come nulla dimostrano le innumerevoli tracce che Stasi ha lasciato nella casa del delitto, dove era ospite fisso, e dove faceva l'amore con Chiara?

Eppure va fatto, questa è la certezza degli inquirenti. Va fatto il nuovo esame del Dna, come è stato interrogato di nuovo Marco Panzarasa, amico del cuore di Stasi, per capire se davvero nell'ultima vacanza a Londra si possa nascondere il pezzo che davvero manca al processo contro il fidanzato di Chiara: il movente. E altrettanto doveroso è frugare tra vecchie foto di graffi, pedali scambiati, sellini che non combaciano, e altre cento tracce di cui i giornali per ora non sanno nulla, cercando di colmare le buche che l'inchiesta si è lasciata dietro sette anni fa. Laura Barbaini, il sostituto procuratore generale di Milano che ha riaperto l'inchiesta su Stasi, sta lavorando per chiudere tutto entro l'inizio di ottobre, quando ripartirà il nuovo processo d'appello. Ed è una corsa contro il tempo: non contro il tempo che sta davanti, ma contro quello che sta alle spalle, il tempo trascorso dalla gelida chiamata al 112 con cui Stasi alle 13,50 del 13 agosto 2007 diede il via al caso: «Sì, mi serve un'ambulanza in via Giovanni Pascoli a Garlasco». L'inchiesta di oggi deve correre a ritroso, come su una scala mobile imboccata contromano.

Le inchieste sono tutte uguali, pensa la dottoressa Barbaini: per questo a scavare su Garlasco ha messo i finanzieri del Gico, i mastini che per anni hanno scavato con lei sui segreti della 'ndrangheta al nord, perché comune a ogni processo è l'esigenza di non lasciare nulla inesplorato, e collocare ogni dettaglio in un immagine circolare che da sola può dare un senso al tutto. Ma anche per il Gico oggi è difficile colmare lacune indurite dagli anni. Se oggi dare un nome all'assassino di Chiara risulterà impossibile nonostante tutti gli sforzi, la colpa ricade come un macigno sulla fretta con cui si agì sette anni fa, e che l'enorme pressione dei media di quelle settimane non giustifica ma semmai aggrava. La fretta immotivata con cui si arrestò Stasi, a settembre di sette anni fa, con la conseguenza inevitabile di farlo scarcerare una manciata di giorni dopo; la fretta e la sicumera con cui a novembre del 2008 venne chiesto il rinvio a giudizio di Stasi per omicidio, sostenendo che ormai non c'era niente altro da accertare né un altrove in cui scavare. Al giudice preliminare, la Procura di Vigevano inviò trenta paginette che dovevano contenere l'alfa e l'omega delle prove contro il biondino, e che inevitabilmente si conclusero con un altra catastrofe per l'accusa.

Oggi si cerca di riparare, ma sapendo che forse è troppo tardi: sia per incastrare, sia per scagionare.

Commenti