Politica

Il Lingotto dieci anni dopo Disertano sempre gli stessi

Nel 2007 con Veltroni non c'erano D'Alema, Bersani e Prodi, che ostacolavano il nuovo corso. Come adesso

Il Lingotto dieci anni dopo Disertano  sempre gli stessi

dalla nostra inviata a Torino

Dieci anni dopo, si «torna a casa», come recita lo slogan sullo sfondo verde foglia del salone del Lingotto. «Superpieno», esulta Matteo Renzi, che un po' di timori, alla vigilia, li aveva avuti. Timori smentiti dalla affluenza: molta gente normale, e pochi vip, in fila ai cancelli dal primo pomeriggio.

Anche dieci anni fa c'era il pienone, a Torino, in un clima torrido.

Era metà giugno del 2007, caldo rovente, Walter Veltroni (cui ieri è andato il primo saluto di Renzi dal podio) era in abito blu - come Renzi ieri - ma con cravatta rossa anziché scura. E nel lungo discorso del Lingotto gettò le basi del neonato Partito democratico, in una prima rottura - certo più soft e diplomatica di quella successiva operata d'impeto da Renzi, ma non meno profonda dal punto di vista identitario - con la vecchia tradizione del Pci.

E una prima coincidenza tra il Lingotto di oggi e quello di allora la si può rintracciare proprio qui, simbolicamente rappresentata da un'assenza: nel 2007, D'Alema e Bersani disertarono il battesimo del Pd al Lingotto, perché già si preparavano all'assalto contro Veltroni nel nome della Ditta post-Pci, per riprendersi «il partito». E l'immarcescibile duo era assente anche ieri, naturalmente: non essendo riusciti a riprenderselo, nonostante la guerra mortale scatenata contro Renzi, stavolta se ne sono proprio andati e hanno aperto una nuova mini-Ditta in proprio. La loro allergia al Lingotto ha avuto il suo decorso, fausto o infausto a seconda dei punti di vista. Fausto, almeno a giudicare dagli umori della «base» democrat alla kermesse renziana, che non rimpiange per nulla la rottura degli «scissionisti».

Non c'era neppure Romano Prodi, nel 2007. Allora, l'ascesa di Veltroni e la nascita del Pd vennero viste dal premier come un'insidia per la sua poltrona, già traballante di suo. E non c'era neppure ieri, il Professore bolognese, che si è sempre sentito troppo poco omaggiato, riverito e considerato da Renzi. Nel Pantheon veltroniano del 2007 vennero evocati Norberto Bobbio e Piero Gobetti, Primo Levi e don Milani. Diverse le scelte di Renzi, che ieri ha citato Roosevelt, Altiero Spinelli e - tra i vivi - Renzo Piano.

Quanto alle presenze, Fassino e Chiamparino sono rimasti, da un Lingotto all'altro. Così come Giorgio Tonini e Enrico Morando, che furono gli elaboratori del manifesto veltroniano, e ieri erano ancora in prima linea al Lingotto. Ad ascoltare Veltroni c'erano il fisico Tullio Regge e il banchiere Enrico Salza. A sentire Renzi, ci sono intellettuali della sinistra come il pugliese Beppe Vacca e il napoletano Biagio De Giovanni, e lo psicanalista Massimo Recalcati. C'è il premier di Malta Muscat e Emma Bonino. E ci sono anche, voluti in prima fila proprio da Matteo Renzi, due personaggi simbolo delle persecuzioni giudiziarie italiane: il giovane Tommaso Nugnes, figlio dell'assessore napoletano morto suicida dopo essere stato travolto da un'inchiesta (poi finita nel nulla), e l'ex deputato Pd Stefano Graziano, inquisito e sbattuto in prima pagina con l'accusa di concorso esterno in associazione camorristica. Accusa totalmente infondata e definitivamente archiviata.

Interverrà oggi, dal podio di Torino.

Commenti