Cultura e Spettacoli

Con "il Giornale" il racconto della Grande guerra

Il saggio di Hew Strachan, in allegato gratuito con Il Giornale, porta nel cuore delle battaglie più sanguinose del Primo conflitto mondiale

Con "il Giornale" il racconto della Grande guerra

Sono passati cent'anni da quando deflagrò la Prima guerra mondiale e il trascorrere del tempo ne ha reso più importante e vivida la memoria anziché appannarla. Solo alla prima spetta l'aggettivo di «grande». Perché la Seconda, nonostante i suoi milioni di caduti e l'uso di armi dalla spaventosa potenza, rimane racchiusa nell'ambito di un immane duello tra un dittatore feroce e paranoico e la coalizione che gli si è opposta. La prima, la Grande, ha visto il declinare o l'estinzione di quattro imperi (il tedesco, l'austroungarico, l'ottomano, lo zarista) e l'avvio di una nuova era di straordinario progresso tecnico e scientifico, di errori, di orrori.

Le vicende della Grande Guerra saranno raccontate ai nostri lettori da Hew Strachan, storico militare scozzese che all'«inutile strage» ha dedicato molto studio e molte pagine. Anche Strachan, come gran parte degli storici contemporanei, non indica nella Germania e nell'Austria-Ungheria le uniche o massime responsabili del conflitto: al quale - dopo l'attentato di Sarajevo contro l'arciduca Francesco Ferdinando erede del trono di Vienna - le potenze europee arrivarono in una sorta di stato sonnambolico, trascinate da una Nemesi superiore alla forza e alla volontà di ogni singolo governante. «Nessuno dei Paesi entrati in guerra nel 1914 compresa la Germania - scrive Strachan - aveva deciso di partecipare per la realizzazione di obbiettivi politici». Non un'idea ma la forza del destino. Ben diverso il caso dei Paesi intervenuti in ritardo, dopo aver valutato i pro e i contro: come l'Italia che inizialmente dichiarò guerra solo all'Austria-Ungheria o come gli Stati Uniti.
Attento agli aspetti tecnici della guerra Strachan attribuisce la vittoria della Marna al cannone francese da 75 millimetri che sparava 20 granate al minuto. Nella stessa ottica si è affermato poi che lo strapotere americano nella Seconda guerra mondiale derivò dalla jeep, dal bimotore Dc3 Dakota e dalle navi Liberty.
Rovinosamente soccombenti, anche perché alla fine vinti, nel duello propagandistico i tedeschi furono bollati come crudeli, e tali si dimostrarono in molte occasioni. Ma i cosacchi furono più feroci di loro, e nella Baviera meridionale per breve tempo occupata dai francesi mentre le armate tedesche stritolavano il Belgio e avanzavano a nord, le mogli di alcuni riservisti si uccisero per non subire la vendetta francese. La staticità sanguinante della Grande Guerra sui fronti occidentali ebbe il suo simbolo nella trincea. Che fu luogo di sofferenza e anche di abbrutimento, ma salvò la vita a milioni di combattenti e modificò le strategie. Strachan nota che - salvo il caso d'uno sfondamento di grandi dimensioni come a Caporetto - non c'erano più fianchi scoperti. In undici battaglie dell'Isonzo, e prima di Caporetto, Cadorna aveva perso centinaia di migliaia di combattenti e realizzato un'avanzata di dieci chilometri.
Due elementi - l'uno militare l'altro sociale - hanno decisivamente influito sul corso della Grande Guerra. Il primo elemento è l'apporto americano. Un esercito di centomila uomini diventò in diciotto mesi, sottolinea Strachan, un esercito di quattro milioni di uomini, due dei quali inviati oltremare. L'altro elemento fu l'insofferenza popolare, le proteste dei civili, duramente represse, contro la fame, in entrambi gli schieramenti. Non ci fu soltanto una guerra totale. Ci fu la rivoluzione russa che contagiò dovunque le frange militanti della sinistra (l'imperatore Francesco Giuseppe non fece in tempo a vedere la rivoluzione bolscevica del 1917, si spense un anno prima). C'è chi sostiene che la Grande Guerra fu inutile, o addirittura dannosa, perché non assestò l'Europa, anzi le iniettò i germi dei futuri totalitarismi. Inutile non fu di sicuro per l'Italia che grazie ad essa ottenne almeno gran parte dei territori rivendicati (ma i nazionalisti deprecarono la «vittoria mutilata» e il mancato rispetto del patto di Londra (che tuttavia non prevedeva l'assegnazione di Fiume all'Italia). Un analogo sentimento nacque e crebbe anche nella sconfitta Germania, molti tedeschi ebbero la convinzione che le loro forze armate avessero meritato la vittoria, o comunque la gloria. Sentimento che, se non fosse per le atrocità hitleriane, coverebbe di sicuro anche oggi in molti tedeschi. Dalla «vittoria mutilata» e dalla sconfitta immeritata presero avvio il fascismo e il nazismo.
Quali che siano le valutazioni e le critiche la guerra 1914-1918 resta Grande. Ne danno testimonianza gli innumerevoli monumenti ai caduti che onorano le piazze d'Europa e d'Italia. Cent'anni sono trascorsi dal gesto fanatico di Gavrilo Princip che appiccò l'incendio.

Ma un secolo non cancella e non attenua nulla.

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