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L'Iran prossimo fronte nella partita nucleare

La Corea ha spezzato quel velo di ambiguità che è parte del "gioco" nucleare

L'Iran prossimo fronte nella partita  nucleare

Molte fatali regole del gioco nucleare sono state rotte in questi giorni, e fra queste una cui Israele è stata in tutti questi decenni, dal 1967, molto fedele: la discrezione, il silenzio, la sua specifica «deliberate nuclear ambiguity» scelta e perseguita senza defezioni su quelle che si dice sia la forza di Dimona: 200 bombe pronte all'uso.

In generale, l'ambiguità segue una regola del silenzio: Kim Jong un l'ha rotta con le sue minacce poi seguite dal duro monito di Trump: nel mondo della bomba si parla il meno possibile se non per condannarla, per paventarne le terribili conseguenze. Nessuna delle potenze nucleari, neppure il Pakistan, si è mai messa a strombettarne il possesso dopo la bomba sul Giappone al fine di concludere la guerra mondiale nel 1945 e il rischio sfiorato con la crisi russo-americana del 1962.

Israele se ne dotò per decisione di David Ben Gurion e con il lavoro diplomatico di Shimon Peres (due socialisti!), e poi Dimona ha sempre lavorato in silenzio, anche per la preoccupazione che sventolare un drappo nucleare irriti il toro islamico e non solo. Ma adesso, con la crisi coreana, il rischio nucleare riguarda da vicino Israele di nuovo.

L'Iran, ha detto il professore Dore Gold che è stato ambasciatore di Israele all'Onu e dirige il think tank Jerusalem Center for Public Affairs, guarda agli USA di fronte alla minaccia Nord Coreana per capire, eventualmente, il suo proprio destino: «Quello che faranno avrà enormi influenze sulle decisioni che gli ayatollah prenderanno sulle future scelte circa il programma nucleare e anche sul disegno egemonico di conquista del Medio Oriente».

Non solo: la prospettiva di attacchi nucleari, il realismo senza precedenti con cui si configurano nella realtà contemporanea, suscitano ambizioni jihadiste, progetti di acquisti e di furti. Inoltre se Kim Jong un, che si dice abbia già rifornito gli iraniani di pezzi per la costruzione del nucleare, sta scegliendo alleati per un eventuale conflitto, di certo l'Iran è il primo della lista. Inoltre un attacco eventuale a Israele, da qualsiasi parte venga, ha sempre la caratteristica di un attacco per interposta persona agli Stati Uniti, un esperimento per vedere fin dove si può arrivare.

L'unica arma è la deterrenza, che certo Israele non può praticare senza uscire dalla «ambiguità»: per farlo, non deve semplicemente vantarsi della sua forza, dice l'esperto Luis Renè Beres, ma saper gestire un inedito programma di eventuale difesa nucleare contro avversari irrazionali. Una guerra sconosciuta. Gli esperti disegnano anche il solito scenario che più la cultura occidentale disegna e desidera: che il Dibbuk torni nelle viscere della terra, e che la vita torni a sorridere.

Un sogno molto pericoloso da cui si rischia di svegliarsi di soprassalto.

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