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La lista che fa infuriare Putin: 200 "big" nel mirino degli Usa

Gli Stati Uniti pubblicano l'elenco di 114 politici e 96 oligarchi tra i possibili obiettivi di sanzioni americane

La lista che fa infuriare Putin: 200 "big" nel mirino degli Usa

New York - Nuovo scossone nei già traballanti rapporti tra Stati Uniti e Russia. Tutta colpa della «Putin-list», l'elenco diffuso dal Dipartimento del Tesoro americano con 210 nomi di politici e uomini d'affari che potrebbero essere oggetto di sanzioni per aver interferito nelle elezioni presidenziali americane del 2016. Per ora gli Usa hanno deciso di non applicare nuove misure restrittive nei confronti di Mosca, visto che secondo la Casa Bianca le norme in vigore stanno funzionando come «deterrente». Ma potrebbero arrivare a breve, stando al ministro del Tesoro Steven Mnuchin.

L'obiettivo della «Putin-list» - ha spiegato al Congresso - è «un'analisi estremamente accurata». Mnuchin, «nel futuro a breve termine», si attende «ulteriori sanzioni». «Non voglio sbilanciarmi nel dire il prossimo mese. Ma posso assicurare che ci saranno, vedrete nei prossimi mesi», ha precisato. Anche perché il capo della Cia Mike Pompeo ha rilanciato i suoi timori che Mosca potrebbe interferire anche nelle elezioni di Midterm. «Non ho visto una riduzione significativa nella loro attività» sovversiva, ha spiegato, affermando di condividere i timori di molti Paesi europei.

Nella lista stilata dal Tesoro ci sono 114 uomini politici e 96 oligarchi (esattamente quelli inclusi l'anno scorso nella lista di Forbes dei russi con un patrimonio superiore al miliardo di dollari), tutti vicinissimi del presidente Vladimir Putin. A partire da Roman Abramovich, fondatore del colosso industriale Oleg Deripaska e patron del Chelsea. O Igor Sechin, Ceo del gigante petrolifero Rosneft, e ancora il magnate dei metalli Alisher Usmanov, investitore dell'Arsenal. Ci sono anche tanti uomini dell'entourage del leader del Cremlino, tra cui il suo portavoce Dmitri Peskov, vari consiglieri e molti membri del Gabinetto del presidente, incluso il premier Dmitri Medvedev e i vice premier. Oltre a praticamente tutti i ministri, compreso il capo della diplomazia Serghiei Lavrov. E poi il ministro della Difesa Sergey Shoygu, quello dello Sviluppo economico Taksim Oreshkin, dell'Energia Aleksandr Novak, e dello Sport Pavel Kolobkov. Il grande assente è proprio Putin. A chi gli ha fatto notare che praticamente manca solo lui ha risposto: «Che peccato, mi dispiace...».

Per il presidente si tratta di un «atto ostile» che rende «più complicato il rapporto» fra le due potenze, quando invece Mosca è intenzionata a «migliorare» le relazioni con gli Usa poiché a beneficiarne è «il mondo intero». «Questa lista non ha senso - ha poi precisato - c'è tutto il governo, l'amministrazione, gli imprenditori... praticamente hanno incluso 146 milioni di russi». È «chiaro che serve a contenere il nostro sviluppo - ha continuato - Noi, nonostante tutto, andiamo avanti e per ora non risponderemo, dobbiamo vedere come evolve la situazione perché c'è anche una parte segreta». «L'esclusione da questa lista potrebbe essere una buona ragione per rassegnare le dimissioni... ma naturalmente non lo faremo», ha commentato da parte sua Medvedev con una battuta. «L'importanza è nulla - ha aggiunto - si avvicina allo zero». La redazione della cosiddetta «Putin-list» era prevista dalla legge approvata dal Congresso Usa per varare nuove sanzioni per le interferenze di Mosca nelle elezioni del 2016.

Per il portavoce del Cremlino Peskov, tuttavia, Washington ha de facto bollato come «nemici degli Stati Uniti» le persone incluse del Rapporto.

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