Politica

L'Italia è all'ultima spiaggia La Ue ordina: tutte all'asta

Bruxelles: basta proroghe sulle concessioni, vadano a gara. E 30mila imprese adesso rischiano di finire ko

Riccardo Pelliccetti

Ci risiamo. Ormai è prassi quotidiana che l'Europa ci prenda a sberle oppure che la brillante creatività degli euroburocrati sia lasciata galoppare, com'è appena accaduto con la proposta di sborsare 10mila euro per ogni profugo che un Paese ospita. L'ultimo schiaffo stavolta è arrivato dalla Corte di giustizia europea, che con una sentenza rischia di mettere ko 30mila imprese posti di lavoro e milioni di euro di investimenti. Che l'Italia conti come il due di coppe con briscola a denari non è una novità. Infatti, siamo già drammaticamente impegnati a trattare con Bruxelles per evitare il tracollo delle nostre banche e dei risparmi di milioni di italiani e, ora, ci toccherà pure piegarci ai diktat del tribunale di Lussemburgo, il quale impone di mettere all'asta le concessioni sulle spiagge, con il rischio di lasciare in braghe di tela decine di migliaia di lavoratori e di imprenditori del settore.

«Le concessioni sulle spiagge italiane vanno messe a gara», ha sentenziato la Corte di giustizia, sottolineando come la normativa italiana, che prevede la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime e lacustri, non sia in linea con il diritto dell'Unione europea perché impedisce di effettuare una selezione imparziale e trasparente dei candidati alla gestione del servizio. Insomma, non è tutelata la concorrenza. Fin qui nulla da eccepire, questo è il libero mercato, ma il governo Renzi doveva proprio aspettare la bacchettata europea per riordinare le norme? È vero che questa Unione non fa altro che penalizzarci, ma è altrettanto vero che l'Italia sia sempre in ritardo e perda tempo in questioni che spesso non sono nell'interesse dei cittadini e delle imprese. Basta guardare la sfilza di procedure d'infrazione che abbiamo collezionato e che ci obbligheranno ad aprire il portafoglio, tanto per cambiare.

Se per il governo non è una vicenda prioritaria, lo è invece per gli operatori del settore turistico che lanciano l'allarme. «Il pronunciamento della Corte di Giustizia Ue, circa la proroga delle concessioni demaniali marittime al 2020 ha affermato il leader del Cna Balneatori, Cristiano Tomei rappresenta un colpo durissimo per l'intero sistema turistico nazionale. Tocca adesso al governo Renzi trovare gli strumenti che consentano alle 30mila imprese balneari italiane di proseguire la propria attività, garantendo loro gli investimenti realizzati, i livelli di occupazione e il lavoro di una vita». Secondo la Cna Balneatori, la Corte ha deciso, nonostante tutto, di applicare la cosiddetta «direttiva Bolkestein». Una direttiva che, come ha ironicamente detto ieri Piero Fassino, presidente dell'Anci, ha un limite strutturale: «Pretende di applicare le stesse regole della concorrenza a Google e agli stabilimenti balneari di Cervia». Per questo motivo, la Cna ha chiesto al governo di intervenire con un decreto legge per permettere «ai nostri imprenditori di poter esercitare, in piena legittimità, la propria attività nelle attuali concessioni».

La sentenza europea ha inevitabilmente acceso la polemica politica. «L'Ue continua a prescindere dalla realtà, preparandosi la fossa nella quale rischia di precipitare in modo irreversibile ha detto il vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri Il governo Renzi è rimasto impotente di fronte a questo tentativo di massacro delle imprese italiane». Dalla Lega a Fratelli d'Italia è un unico coro contro Bruxelles. «Come annunciato, la peggiore burocrazia europea ha decretato la morte dei balneari ha affermato il capogruppo leghista al Senato Gian Marco Centinaio Eccola qui l'Europa criminale... Ecco una delle mille ragioni per le quali dovremmo scappare di corsa dall'Unione». La leader di Fdi, Giorgia Meloni, ha accusato apertamente il governo Renzi, dicendosi non sorpresa dalla sentenza della Corte.

«Tutto questo rende più evidenti le gravissime responsabilità del governo ha incalzato la Meloni che, pur avendo avuto moltissimo tempo per promuovere il riordino del settore, difendere 30 mila imprese e rendere inutile il ricorso alla giustizia europea, ha preferito aspettare la mannaia degli euroburocrati».

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