Politica

L'Italia mostra le unghie Ma l'India ha gli artigli Al processo è subito bufera

Prima udienza durissima al Tribunale del mare. I nostri legali: «Sono soldati da liberare» Nuova Delhi: «I ritardi? Solo colpa vostra»

L'Italia è riuscita a tirare fuori le unghiette, ma l'India ha risposto a colpi di artigli. La prima udienza al Tribunale internazionale del mare ad Amburgo sul caso marò ha dato il via ad una dura battaglia legale, che continua oggi. Il team legale di esperti del nostro Paese, dopo tre anni e mezzo, ha preso il toro per le corna come il Giornale aveva sempre auspicato. Gli esperti dell'India, però, sono stati abilissimi a far affiorare le contraddizioni di una lunga gestione ondivaga del caso e costellata di errori da parte nostra.

Alle 9.30 di ieri, davanti a 21 giudici della corte internazionale presieduta dal giudice russo, Vladimir Golitsyn, ha preso la parola l'ambasciatore a L'Aja, Francesco Azzarello, che rappresenta il nostro Paese. Poco prima il ministro egli Esteri, Paolo Gentiloni, twittava «l'Italia è unita con i fucilieri Girone e Latorre». L'ambasciatore con cravatta rosa a pois ha attaccato gli indiani che considerando i marò già colpevoli di avere ucciso due pescatori in alto mare il 15 febbraio 2012 dimostrando «disprezzo per un giusto processo». L'Italia vuole la sospensione della giurisdizione indiana, il rientro in patria di Girone e la sicurezza che Latorre non debba tornare a Delhi fino a quando andrà avanti l'arbitrato.

L'ambasciatore ha sottolineato, forse troppo, che «la frustrazione, lo stress, il deterioramento delle condizoni mediche delle persone direttamente e indirettamente coinvolte, minacciano un grave danno ai diritti italiani. Per questo bisogna risolvere la situazione con urgenza». Ad entrare nel merito ci ha pensato il baronetto inglese assoldato da Roma, che si è presentato con toga e parrucchino bianco tipico delle corti britanniche. Sir Daniel Bethlehem, utilizzando delle cartine, ha spiegato come l'incidente sia avvenuto a 20,5 miglia dalla costa «ben oltre le acque territoriali indiane». Poi ha denunciato la «coercizione» da parte dell'India che «intercettò in acque internazionali la nave Enrica Lexie (difesa dai marò contro i pirati nda) con unità armate».

Il colpo ad effetto è stato paragonare Girone ad «un ostaggio dell'India». E nello stesso tempo ribadire che «in Italia è aperta un'inchiesta contro Girone e Latorre, ma le lettere di rogatoria inviate a Delhi non hanno mai ricevuto risposta».

Alla fine il baronetto ha ammesso che «dallo scorso maggio non c'è più alcuna prospettiva per una conciliazione politica». Un altro esperto, Guglielmo Verdirame, ha ricordato come i marò «siano da 1269 giorni in attesa di processo. L'India, a questa assise, ha già dichiarato la loro colpevolezza. É la dimostrazione del loro acuto pregiudizio». Nel pomeriggio di ieri ha preso la parola Neeru Chadha, rappresentante di Delhi in abiti tradizionali. «L'Italia ha descritto come vittime i due marines, ma le vere vittime sono i pescatori indiani che hanno ucciso» in acque «di competenza indiana» ha sostenuto la signora.

La parola è passata al procuratore aggiunto indiano P.S. Narasimha, che ha ammesso: «É inaccettabile non aver ancora incriminato» Latorre e Girone, ma «la responsabilità dei ritardi va attribuita all'Italia e ai marines». Alain Pellet, il pezzo da novanta francese schierato dagli indiani, si è presentato con mantellina rossa ed i nastrini delle decorazioni sul petto. In punta di diritto ha preso di petto la Corte contestando «la stessa giurisdizione del Tribunale» e bombardando a tappeto le richieste italiane. Secondo l'esperto «per l'immunità (l'Italia) ha sbagliato foro». Ed il fatto «di aver pagato una compensazione in denaro alle famiglie delle vittime» dimostra che i marò sono colpevoli. Per il francese la versione «dell'attacco dei pirati è bizzarra« e Roma risulta «in malafede e inaffidabile».

Per Pellet «l'urgenza del caso è un'immaginazione italiana».

Commenti