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L'Italia in stato di allerta manda le armi ai curdi

Il Parlamento vara gli aiuti militari contro i terroristi islamici con l'opposizione di M5S e Sel. Renzi in Iraq: "Qui è in corso un genocidio e l'Europa non volta le spalle"

Matteo Renzi in Iraq
Matteo Renzi in Iraq

Mentre in Parlamento una maggioranza più larga di quella che sostiene il governo dava via libera all'invio di armi alle truppe curde anti-Isis, il premier Matteo Renzi era in Irak, in veste di presidente di turno di una Ue che, ha spiegato, non può occuparsi solo «di spread e di vincoli» ma deve impegnarsi a «difendere una certa idea di mondo e di dignità dell'uomo». Un messaggio rivolto ai suoi interlocutori iracheni, ma diretto anche a Bruxelles, e ad una Germania che si era mostrata piuttosto renitente a rafforzare i curdi iracheni.

Il premier italiano, impegnato con il suo viaggio lampo ad affermare un'immagine di protagonismo europeo nella crisi irachena, e di una leadership «morale» e politica dell'Italia nella Ue (utile anche a rafforzare la candidatura di Federica Mogherini alla guida della politica estera dell'Unione) ha avuto incontri con i principali interlocutori iracheni: il presidente Fouad Masoum, il premier incaricato di formare il nuovo governo Haidar al-Abadi e l'uscente Nuri al-Maliki. Poi si è spostato a Erbil, capitale del Kurdistan iracheno, dove ha visto il presidente Massoud Barzani, che lo ha ringraziato per l'impegno italiano: «Siete stati i primi». Renzi ha assicurato che di lì a poco il Parlamento avrebbe autorizzato l'invio di armi: «Qui è in corso un genocidio, come quello che a Srebrenica negli anni '90 vide la comunità internazionale silente e passiva. Non si deve ripetere nulla di simile, la comunità internazionale può permettersi tutto tranne il silenzio», ha spiegato. «Chi pensa ad una Ue che volti le spalle ai massacri o sbaglia previsione, o sbaglia semestre. O l'Europa è qui, o non è Europa».

A Roma, intanto le commissioni Esteri e Difesa, dopo aver ascoltato le informative dei ministri Mogherini e Pinotti, approvavano a larga maggioranza (Pd, Forza Italia, centristi, Ncd) la risoluzione che autorizza il governo a fornire armi ai curdi. Contrari i Cinque stelle, che in un prolisso documento caldeggiavano l'invio ai peshmerga non di «equipaggiamenti letali» ma di «elmetti e giubbotti antiproiettile» (sic), contraria Sel all'inseguimento del vacuo pacifismo grillino, astenuta la Lega col pretesto che si votava in commissione e non in plenum. Mogherini ha rivendicato il ruolo italiano nella costruzione di «una cornice internazionale» attorno all'invio di aiuti anche militari per rispondere alle richieste del Kurdistan iracheno, sottolineando che «non era scontato che la Ue rispondesse in quanto tale, e con decisione unanime». In Irak «è a rischio la vita di civili, cristiani, yazidi, musulmani: è un dovere politico, ma soprattutto morale, rispondere a un dramma umanitario». Ma quella di Isis, spiega il ministro, «è una minaccia che riguarda anche l'Italia». Tanto che il Dipartimento di pubblica sicurezza del Viminale ha inviato ai prefetti e ai questori una circolare che sollecita più vigilanza sugli obbiettivi sensibili.

Il ministro della Difesa Pinotti ha spiegato che la fornitura ai curdi consisterà in armi leggere e munizioni di fabbricazione ex sovietica, frutto di un maxi-sequestro contro trafficanti internazionali, che arriveranno a destinazione «entro pochi giorni».

Alla fine, forse anche per timore di figuracce, a Montecitorio erano presenti molti più parlamentari del previsto: due terzi del totale, col Pd al gran completo. Brillava per la sua assenza, invece, il grillino Di Battista, che della Commissione Esteri è anche vicepresidente e che ha animato le polemiche agostane con le sue scombiccherate apologie del dialogo coi tagliatori di teste islamisti. Ma che ora è impegnato in una importante vacanza in Nepal.

di Laura Cesaretti

Roma

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