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Litchi, datteri, caviale: re per una notte

I cibi esotici che appaiono nei nostri menu solo a fine anno. E poi spariscono

Anna Muzio

Avete mai provato a cercare un litchi in un periodo dell'anno che non sia dicembre? Probabilmente non lo troverete. Perché questo frutto spinoso proveniente dalla Cina, tutto seme e pochissima polpa, lo sostituiamo volentieri il resto dell'anno con una più succosa mela o un più pratico mandarancio. Eppure il litchi raramente manca sulle tavole natalizie.

Il cenone di Natale in effetti è un unicum: vi transitano cose che noi umani il resto dell'anno lasciamo volentieri al loro Paese.

Spesso sono frutti esotici e bizzarri, anche buoni ma relegati, chissà perché, a questa festività: datteri e anacardi, ad esempio, sono un altro cibo natalizio di cui generalmente non si sente la mancanza nei 12 mesi successivi.

Chi sarà stato il primo a portare il litchi in tavola a Natale? Impossibile dare una risposta, i nostri ricordi non risalgono oltre i ruggenti anni Ottanta.

Poi ci sono i cibi «chic», quelli di lusso da «tanto una volta all'anno ce lo possiamo permettere». Il caviale innanzitutto. Beluga, Kaluga o Sevruga? L'importante è che non si spaccino per leccornìa le temibili uova di lompo. La panna acida ha ormai soppiantato i toast imburrati e i più avventurosi portano in tavola i blinis con la vodka. Che così dopo sono tutti più simpatici.

Il foie gras è ormai da anni campo minato: la cognata animalista ha messo un aut aut: o io o lui. Meglio allora un grande classico: la crespella d'ordinanza, prosciutto e formaggio o ricotta e noci, o un cocktail di scampi o un vitel tonné.

Il tacchino ripieno tradizione d'importazione ormai adottata da molti ha due possibilità: o si compra già fatto in gastronomia o si cucina solo se si è esperti davvero. Vietato improvvisare. Anche perché fino a quando non esce dal forno non si sa come è andata, e l'attesa per il cuoco di turno con venti commensali in attesa è da cardiopalma.

Sul fronte dolci gli una tantum sono numerosissimi. Sono in genere specialità regionali che nel resto d'Italia sono solitamente ignorate: torrone, struffoli, panforte ad esempio. Pure il panettone nonostante gli sforzi per destagionalizzarlo rimane il dolce di Natale. Punto. Così come il pandoro. Non c'è un motivo particolare, è così e basta.

Sarà perché il Natale è con i tuoi, ci si riunisce con i parenti, ci si sforza di essere tutti più buoni ma poi la convivenza forzata di gente che non si frequenta nel resto dell'anno e c'è sempre un perché genera nervosismo, almeno sul fronte culinario deve essere inappuntabile, speciale ma anche tradizionale, goloso ma non troppo pesante. La cena di Natale è un ossimoro che mette insieme opposti improbabili (come la mostarda, altra icona natalizia, dolcissima e agra) e ha degli assiomi imprescindibili. E dunque anche quest'anno rassegnatevi a pelare il vostro litchi, piluccate un dattero, servitevi di caviale e tacchino.

E rilassatevi: tanto non li rivedrete fino all'anno prossimo.

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