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L'omicidio del fratello di Kim tra killer sparite e miss veleno

La Malesia giura: le due assassine sono state uccise. Ma spunta una strana vietnamita dal passato omicida

L'omicidio del fratello di Kim tra killer sparite e miss veleno

Due donne-killer giustiziate, ma i cadaveri non si trovano, una misteriosa vietnamita arrestata, un'assassina di professione, ribattezzata «miss Veleno», e il cadavere ingombrante di un golpista nelle mani della Malesia, richiesto dal governo della Corea del Nord, ma anche da quello di Macao. L'assassinio di Kim Jong-nam, fratello del leader nordcoreano Kim Jong-un, sta diventando un'avvincente spy story. Sembrava ispirata inizialmente da un copione piuttosto modesto, ma con il trascorrere delle ore gli avvenimenti che si susseguono sembrano presi in prestito da Ian Fleming e dal suo immortale 007. Qualcuno in effetti la licenza di uccidere deve per forza avercela avuta: diversamente non si potrebbe giustificare la presenza sul tavolo dell'obitorio del cadavere di Jong-nam, che sulla rotta Kuala Lumpur-Macao stava organizzando (con il probabile sostegno di Russia e Cina) un ribaltone nella stanza dei bottoni di Pyongyang. Jong-nam è stato ucciso lunedì mattina all'aeroporto di Kuala Lumpur.

È crollato a terra pochi minuti dopo aver superato l'area di controllo dei passaporti, mentre avrebbe dovuto rientrare con un volo della Malaysia Airlines a Macao. Secondo i testimoni l'uomo si è accasciato a terra, lasciando intendere ai soccorritori di essere stato colpito da un infarto. «Si toccava il petto e respirava a fatica - racconta Angela Mosroh impiegata dell'ufficio del cambio valute - quando ho chiamato aiuto aveva già perso i sensi». Jong-nam è deceduto in ambulanza, mentre veniva trasportato in ospedale. Qui iniziano tutta una serie di incongruenze e di colpi di scena. Senza che potesse più comunicare, e soprattutto prima ancora che il corpo venisse sottoposto all'autopsia, le autorità malesiane avevano la certezza che l'uomo fosse stato avvelenato. In un primo tempo si è parlato di veleno, iniettato nel collo e nel petto da due donne travestite da hostess.

Ieri il governo di Kuala Lumpur ha persino confermato di averle fermate ed eliminate, ma secondo un dispaccio dei servizi giapponesi esisterebbero dubbi sulla loro reale esistenza. Le indagini degli inquirenti si limitano alle immagini catturate dalle telecamere dell'aeroporto che ritraggono una donna, di cui non si conosce l'identità, ma già ribattezzata dai media «miss Veleno». Sarebbe stata lei a spruzzare una letale tossina su un fazzoletto e narcotizzare, a morte, Jong-nam, probabilmente aiutata dalla vietnamita Doan Thi Huong, 28 anni, fermata ieri mattina. La donna avrebbe ammesso un coinvolgimento nella morte del fratello di Kim Jong-un, rivelando di far parte di una squadra composta da almeno altre cinque persone.

Il cadavere di Jong-nam si trova ancora allo University Medical Centre, nella capitale malese. Il governo della Corea del Nord si era opposto all'autopsia, chiedendo che la salma venisse ricomposta e trasportata a Pyongyang per svolgere in patria gli esami autoptici. L'ambasciatore nordcoreano a Kuala Lumpur, Kang-chol, ha spiegato ai media che la morte di Jong-nam è «qualcosa che rientra nelle questioni di sicurezza della Corea del Nord». Da parte sua il ministro degli Esteri della Malesia, Anifah Aman, ha negato il cadavere alle autorità di Pyongyang, ricordando che «il fratello del presidente era stato costretto all'esilio. Non capisco tutta questa impazienza». Anche Macao sembra aver fretta di chiudere la partita. Il premier dell'ex protettorato portoghese, Fernando Chui, ha chiesto che «la salma venga ricomposta e tumulata da noi.

Perché questa era diventata casa sua».

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