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Da Lotti alla consulente della Regione: quanti guai per Zingaretti orfano dei giudici

Il leader del Pd cerca di ricucire con le toghe rosse prendendo le distanze dall'ex ministro renzianissimo. Ma spunta l'incarico del Lazio alla moglie di Palamara

Da Lotti alla consulente della Regione: quanti guai per Zingaretti orfano dei giudici

L'egemonia è finita. Adesso siamo al tutti contro tutti e anche Nicola Zingaretti non se la passa bene. Il partito che aveva un filo diretto con le toghe si trova ad essere il nemico numero uno del partito dei giudici. Era ieri quando pm e giudici entravano in parlamento o migravano a Bruxelles sui banchi di quello che oggi è il Pd. Tornano alla memoria nomi importanti: Felice Casson, pm di punta della cultura progressista a Venezia, Gerardo D'Ambrosio, coordinatore del mitico pool Mani pulite, Elena Paciotti, presidente non una ma due volte dell'Associazione nazionale magistrati. Convergenze. Scelte strategiche condivise al crocevia fra politica e magistratura. Affinità quasi antropologiche, col marchio di una presunta superiorità morale. Ora questo edificio è in pezzi. Zingaretti si trova al centro di un grande pasticcio con scie di rancore. Qualcuno butta la croce sull'ala renziana che aveva tagliato i ponti con Magistratura democratica e attraverso i parlamentari Cosimo Ferri e Luca Lotti arrivava fino a Luca Palamara, oggi sulla graticola sempre più arroventata di Perugia.

Zingaretti riceve Lotti in un incontro burrascoso, prova a capire la consistenza del network messo in piedi dal plenipotenziario renziano, quindi lo congeda con una rasoiata urbi et orbi: «Nessuna solidarietà». Infine, e sono parole obbligate ma non di circostanza, invita i magistrati ad andare fino in fondo. Anche se nel mirino potrebbero esserci schegge del suo stesso partito.

Una mossa che però non dirada dubbi e diffidenze. Il Fatto quotidiano prende di mira proprio il segretario del Pd: fra il 2015 e il 2017 la moglie di Palamara, l'avvocato Giovanna Remigi, ebbe un incarico alla Regione guidata da Zingaretti come dirigente esterna, dopo aver vinto in precedenza un bando. Una consulenza di prestigio, all'ufficio Analisi del contenzioso, remunerata con 78mila euro l'anno e rinnovata nel 2016. Niente di illecito, ci mancherebbe, e però la lobby giustizialista svela liaison inedite che di questi tempi bui alimentano retropensieri maliziosi e commenti acidi.

Insomma, il partito è dilaniato al suo interno e non trova il passo giusto per riprendere un rapporto privilegiato, anzi quasi automatico per una lunga stagione. L'eurodeputato Franco Roberti, un altro pezzo grosso passato attraverso le porte girevoli oggi bloccate e che fino a novembre 2017 era, nientemeno, il procuratore nazionale Antimafia, punta il dito contro il Nazareno come fosse in aula per una requisitoria: «Il Pd è silente». E ancora: «Il caso Palamara è la prova di un disegno iniziato sotto il governo Renzi». I soliti sospetti, si potrebbe dire se non fosse che nel passato il bersaglio era altrove. E il cannoneggiamento colpiva Arcore e altri santuari del potere, familiari alla toponomastica di solito del centrodestra.

Ora quella purezza originale non c'è più e il segretario si trova sulla linea del fuoco amico. Zingaretti fa dunque la faccia feroce con Lotti nel tentativo di recuperare un feeling perduto e per non perde i voti dei girotondini, già in parte consegnati ai 5 Stelle.

Ma non è detto che questo basti e intanto Perugia è un vulcano in ebollizione che devasta antiche consuetudini.

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