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L'ottobre nero del premier tra conti sballati e riforme flop

Il referendum sul nuovo Senato sancirà la fine dell'esecutivo, che prima dovrà affrontare Comunali e sentenza della Consulta sull'Italicum. Il centrodestra si farà trovare pronto

L'ottobre nero del premier tra conti sballati e riforme flop

Non c'è bisogno di essere profeti, e neppure di volare di notte come i gufi, per osservare il precipizio verso cui si sta dirigendo Matteo Renzi, il quale finge sicumera, ma ha perso baldanza anche nelle bugie, e si aggrappa a qualsiasi appiglio per non precipitare. L'ultima è la trasformazione di una cattiva legge sulle unioni gay e coppie di fatto, in un trampolino per accreditarsi come cultore dei diritti civili, lui che non rispetta il primo diritto civile del popolo, che è la democrazia. Ma certe cose si pagano. Non si conosce caso di chi abbia preso a bastonate la democrazia e non sia finito rottamato lui stesso dalla democrazia.

Analizzando il dato politico, quello economico e le scadenze inesorabili che lo aspettano, il percorso del fiorentino al governo si infrangerà inesorabilmente ad ottobre, un ottobre nero per lui, e non si tratta di augurio o di auspicio, ma di considerazione della realtà. Anzi sarà già (quasi) un successo per il segretario-premier scamparla fino a quella data, poiché a giugno la sua tenuta sarà sottoposta al crash-test dell'insuccesso alle elezioni amministrative.

Fornisco la data con cui esordirà il suo autunno disastroso: il 4 ottobre la Corte costituzionale darà la sua sentenza sull'Italicum. Logica vuole che la Consulta bocci questa legge, per le stesse ragioni, persino rinforzate, per cui negò legittimità costituzionale al Porcellum: un eccesso di premio di maggioranza e un difetto rispetto alle preferenze. Inesorabile poi appare l'esito negativo (per Renzi) del referendum. Oggi i sondaggi a proposito del voto popolare sulla riforma della Costituzione, che si terrà pochi giorni dopo, danno il «No» vincente 54 a 46 (l'ultimo: Ixè).

Il dato sarà vieppiù negativo e certamente mortale per il governo poiché, in quel per lui disgraziatissimo ottobre, lo stato comatoso dei conti pubblici costringerà il premier a varare una legge di

Stabilità che prosciugherà le tasche e i servizi forniti dallo Stato agli italiani, per un salasso da 40-50 miliardi. Con la conseguente spinta di impopolarità che non riuscirà a placare con nessuna mancia da 80 euro.

Dicevamo però che già le Amministrative potranno essere per il capo del governo e la sua maggioranza un appuntamento fatale: ormai è mal sopportato anche dai poteri forti, suoi ex amici, i quali ora sono scesi dal cavallo toscano, osservando che l'opinione pubblica lo giudica ormai come un leader improbabile. Solo parole, solo chiacchiere, nulla di concreto. Lo dimostrano le sue riforme. Per lui è essenziale comunicare che sono un successo, e che se non lo sono ancora, lo saranno presto. Ma così non è: sono fallite tutte, oppure proprio non ci sono (quella della giustizia, per dirne una). Ma per sopravvivere deve falsificare i risultati, riverniciarle, taroccarne le cifre con l'aiuto sempre più screditato di Padoan, pur di ottenere grazie a questa balla la famosa «flessibilità» dalla Commissione dell'Unione Europea. Un fatto per lui vitale, insieme con il responso sulla sua Legge di Stabilità atteso per la prossima settimana.

Semplificando, la questione su cui il presidente del Consiglio si gioca tutto è la concessione o meno di flessibilità, vale a dire la possibilità di fare deficit, all'Italia. Su un punto di deficit in più quest'anno, pari a 16 miliardi di spese non coperte, che si aggiungono ad altrettante spese in deficit dello scorso anno, il premier infatti ha basato la sua politica economica, quella dei bonus e delle mance distribuiti in occasione delle scadenze elettorali per comprarsi il consenso. Se la Commissione boccia il suo deficit spending, Matteo Renzi deve rimangiarsi tutte le costose promesse fatte agli italiani-elettori. La sua immagine ne risentirebbe, ma i conti pubblici ne trarrebbero beneficio, dopo due anni di politiche economiche irresponsabili.

Eppure, da quanto trapela, la Commissione non boccerà la Stabilità dell'Italia, pur nutrendo numerosi dubbi. I rilievi sono tanto di metodo quanto di merito. Sul metodo: Renzi ha già fatto ricorso alla cosiddetta «clausola delle riforme» per ottenere la possibilità di fare maggior deficit lo scorso anno, il 2015, e non è possibile, stando alle regole europee, chiedere per due anni consecutivi margini di flessibilità/deficit riferiti alle medesime riforme. Se il governo non è riuscito ad attuarle, o se gli effetti sperati non si sono realizzati, non ha alcun diritto a chiedere ulteriori deroghe.

Nel merito, di quali riforme stiamo parlando? Se facciamo l'elenco ci troviamo con un pugno di mosche in mano. In due anni di governo, Renzi ha avuto un solo obiettivo: quello di mettere le mani sul potere, tralasciando del tutto l'interesse del Paese, facendo crescere debito e deficit pubblico.

Verrà ottobre, dunque. E sarà il mese fatale per Renzi. Ma qui obbedire al quietismo del proverbio cinese, secondo cui conviene aspettare seduti sulla sponda del fiume il cadavere (politico) del nemico, sarebbe un errore tragico. Noi non abbiamo nessuna intenzione di passare dalla padella di Renzi alla brace dei Cinque Stelle. Certo i grillini, in questo nuovo corso impostato dal Casaleggio minor, si stanno facendo del male da soli, dimostrando che la cattiva politica è certo un problema, ma la loro alternativa è peggiore, e sottopone il popolo elettore all'umiliazione di essere trattato come un bambino scemo, perché poi, sopra la sovranità popolare che sceglie i sindaci, il M5S pone quella del direttorio e sopra di essa quella imperiale della dinastia Casaleggio.

Il centrodestra sta dimostrando straordinaria vitalità, alla faccia dei giornaloni che non si accorgono di quanto sta accadendo. Lo vediamo in piena formazione per le amministrative di giugno, ma soprattutto prefigurano un processo di fioritura che si compirà a ottobre.

A quella scadenza si presenterà un nuovo soggetto carico di esperienza storica e di novità progettuale. Alla alleanza storica nata nel 1994 voluta e guidata da Silvio Berlusconi, si aggiunge un altro petalo, quello del civismo vincente. Esso è rappresentato oggi dai vari Brugnaro a Venezia, Parisi a Milano, Marchini a Roma, Lettieri a Napoli, Di Piazza a Trieste. Questo quarto petalo non è un'aggiunta, non determina una banale sommatoria, ma cambiando la quantità hegelianamente cambia la qualità della nostra offerta elettorale. Mostra con evidenza palmare che il nocciolo fondante il centrodestra non è una congrega che vuole spartirsi poltrone, ma è una compagine di servizio che vuole andare oltre se stessa, per accogliere quanto di vero e buono emerge dalla trincea del lavoro e dell'impegno associativo. Civismo di servizio contro cinismo di potere.

Questo sviluppo dell'identità del centrodestra ci rende pronti a raccogliere la sfida di quell'ottobre che sarà nero per Renzi, ma carico di frutti e di colori per questa nuova forza, rassicurante, liberale, cattolica, riformatrice. Le amministrative e la campagna del referendum sono la grande occasione da cogliere per dare una grande alternativa di prosperità per l'Italia.

Capace, dopo Renzi, di dare un contributo decisivo per una legge elettorale che faccia sì che la prossima sia davvero una legislatura costituente con i crismi della democrazia e non dei golpe.

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