Cronache

Luca, maciullato dal tornio sotto gli occhi del padre

La manica della felpa si è impigliata nell'ingranaggio e per il lui è stata la fine. La sua passione erano le moto

Luca, maciullato dal tornio sotto gli occhi del padre

Brescia - Morire, ancora ragazzino, davanti gli occhi del padre e di due cugini. Maciullato sotto un tornio. Nel 2018. Sembra assurdo, ma è accaduto. Il nostro Paese, in tema di sicurezza sul lavoro, ha una legislazione all'avanguardia. Eppure nel giro di pochi giorni cinque operai (età, tra 19 e i 57 anni) sono morti in circostanze da medioevo industriale.

Succede nella regione più ricca d'Italia. la Lombardia: «locomotiva d'Italia», ricordate?

Ma proprio qui ci troviamo a ripercorrere - con una frequenza inquietante - tragedie distruttrici di persone, sogni e famiglie.

Le quattro vittime della «Lamina spa» di Milano, ammazzati martedì scorso dal gas dopo essersi calate in un «forno di ricottura», erano tecnici esperti; Luca Lecci, ucciso l'altroieri dagli implacabili ingranaggi di un tornio d'acciaio, era invece un giovane alle prime armi, con tanti sogni e tanta voglia di lavorare. Che amava i motori in generale e le moto in particolare. Nelle foto sulla pagina Facebook gira sempre la manopola di un acceleratore. Luca voleva una vita veloce. E ce l'avrebbe fatta, perché era in gamba. Un ragazzo che vorresti come figlio o fratello. All'ospedale Civile di Brescia, dove ieri la sua esistenza si è spezzata per sempre, c'erano tutti quelli che per Luca stravedevano: i genitori, i familiari, gli amici. Il fratellino no, a lui non hanno detto nulla. Il dolore, quando assume dimensioni così mostruose, è meglio resti lontano almeno dai piccoli. Ma anche per i grandi è durissima.

Al padre di Luca che ha visto il figlio «afferrato» dal tornio della sua ditta (la «Elettrotecnica lg» di Rovato, in provincia di Brescia), non abbiamo il coraggio di chiedere nulla. Temiamo perfino di avvicinarci. A chi ha un minimo di sensibilità, incrociare il suo sguardo fa troppo male. Del resto, non c'è bisogno di fare domande.

Nella camera ardente dove Luca si è già trasformato in un angelo le risposte riecheggiano nell'aria come frammenti di incubi: «La manica della felpa si è impigliata nell'ingranaggio. Ed è stata la fine...».

I flash che seguono sono tanto forti da far chiudere gli occhi: «Il corpo martoriato dalla pressa. Le urla. Il sangue. L'orrore». Poi un briciolo di speranza con l'elisoccorso che porta Luca all'ospedale di Brescia». La corsa in rianimazione. Ma è inutile.

Ieri mattina l'angoscia più nera si è materializzata in un dottore che si è avvicinato ai genitori di Luca. Il medico aveva gli occhi bassi. Non c'è stato bisogno di aprire bocca. Il bisogno era invece un altro: quello di abbracciarsi, e piangere insieme.

I carabinieri, per dovere d'ufficio, hanno chiesto come «sono andate esattamente le cose». Ma queste sono spiegazioni che interessano solo loro.

Cosa importa a chi voleva bene a Luca se lui ha commesso un'imprudenza o se è stato solo terribilmente sfortunato? Di certo quando il papà aveva chiesto al figlio: «Ti va di aiutarmi nel capannone?», Luca aveva risposto «sì». Col sorriso sulle labbra e l'entusiasmo di sempre.

Ieri in paese c'era mercato. Tutti d'accordo nel dire: «Famiglia per bene, i Lecci. Onesti e gran lavoratori». Tra le bancarelle regnava un silenzio irreale. Rovato è un paese in lutto. Ansioso solo di riavere il «suo» Luca. Per portare sulla tomba un fiore. E la foto di una moto fiammante.

Che lui non potrà più guidare.

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