Politica

"Lui parla, io faccio i fatti". Di Maio all'attacco di Salvini

Il grillino graffia il collega critico sull'intesa con Xi. E il Movimento 5 stelle nei sondaggi scivola al 17%

"Lui parla, io faccio i fatti". Di Maio all'attacco di Salvini

Il dissidio corre sul filo (di seta). È ancora tensione tra Luigi Di Maio e Matteo Salvini e questa volta sono gli accordi con la Cina a provocare qualche scricchiolio nella maggioranza e tra i due vicepremier. Per il ministro dello Sviluppo Economico «oggi l'Italia in politica estera ha segnato un importante passo in avanti con un accordo che aiuterà tantissime imprese ad aumentare l'esportazione del Made in Italy. Abbiamo siglato accordi per 2 miliardi e mezzo».

Lontano da Roma, al Forum di Cernobbio, Matteo Salvini esprime perplessità. «Sono contento che il presidente cinese sia in Italia, ma ci vuole parità di condizioni. Non mi si dica che in Cina ci sia il libero mercato, dove lo Stato non interviene nell'economia e nell'informazione». Parole a cui controreplica Di Maio in modo netto: «Lui ha il diritto di parlare, io il dovere di fare i fatti, come ministro dello Sviluppo economico».

Le scintille non sono certo isolate. I sondaggi continuano ad allargare il solco elettorale che divide ormai Lega e Cinque stelle, con questi ultimi accreditati di un 17-18% a causa anche dell'arresto di Marcello De Vito. E parallelamente cresce la competizione tra gli alleati. Due giorni fa a far discutere è stato l'annuncio di un documento sulla sicurezza al quale sta lavorando la ministra delle Difesa Elisabetta Trenta per introdurre in Italia una National Security Strategy per un maggiore coordinamento tra presidenza del Consiglio, Viminale, Difesa, Infrastrutture e servizi segreti. Una proposta percepita come un tentativo di commissariare Salvini.

Sullo sfondo c'è un caso che sta scuotendo i palazzi romani e facendo salire la tensione tra organi dello Stato. L'Antitrust, infatti, è da mesi senza guida. E questo nonostante il presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, e il presidente della Camera, Roberto Fico, abbiano annunciato lo scorso 20 dicembre la nomina a presidente dell'Autorità Garante della Concorrenza di Roberto Rustichelli. Il problema è tutto nel ritardo del Consiglio Superiore della Magistratura nel concedere o meno a Rustichelli l'aspettativa da magistrato. Alcuni consiglieri di palazzo dei Marescialli ritengono che Rustichelli non avrebbe diritto all'aspettativa, poiché avrebbe superato i dieci anni di collocamento fuori ruolo. I sostenitori di questa tesi fanno riferimento alla legge Severino, ma fu la stessa Guardasigilli a chiarire che: «Non risentiranno del limite dei dieci anni per il collocamento fuori ruolo né i magistrati che hanno incarichi presso organi costituzionali, come anche la Presidenza della Repubblica e le Camere, né quelli che lavorano presso le Authority». Una anomalia evidente rilevata ormai ai più alti livelli istituzionali. C'è chi ricorda che la nomina di Rustichelli non sarebbe frutto di una indicazione unanime da parte dei vertici dei Cinque stelle, ma frutto di una autonoma decisione dei presidenti delle Camere. Di certo il Csm - che da lunedì è nella sua «settimana bianca» mensile - non potrà esprimersi a stretto giro di posta.

Ma difficilmente a questo punto potrà portare avanti oltre i primi di aprile questa strano atteggiamento dilatorio.

Commenti