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Luigi e Matteo, gli eurosmemorati: al governo quando si trattò sul Mes

Sembrano essersi accorti solo ora di ciò che successe a Bruxelles

Luigi e Matteo, gli eurosmemorati: al governo quando si trattò sul Mes

È curiosa, improvvisa e contagiosa l'amnesia che negli ultimi giorni pare aver colpito Luigi Di Maio e Matteo Salvini. Come d'incanto, infatti, i due «smemorati» hanno scoperto che ormai da anni è in corso una complessa trattativa per riformare il Mes (Meccanismo europeo di stabilità), creato nell'ottobre del 2012 per sostituire il cosiddetto Fondo salva Stati. Il confronto in Europa va avanti da tempo, con riunioni tecniche e politiche a ripetizione. Come quella dello scorso 13 giugno a Bruxelles, quando l'Eurogruppo ha raggiunto un ampio consenso su una bozza di revisione del Mes. Bozza che dal giorno successivo - 14 giugno - è stata pubblicata sul sito della Commissione Ue.

Eppure, Di Maio e Salvini - che allora erano entrambi vicepremier di Giuseppe Conte - sembrano essersi accorti solo ora di quel che accadeva in Europa. E questo nonostante in quei giorni i due leader fossero molto attivi nel dibattito pubblico, visto che se le davano di santa ragione sull'eventualità di introdurre la flat tax (caldeggiata da Salvini e osteggiata da Di Maio). Sul Mes e sull'intesa trovata a Bruxelles alla presenza di Conte nemmeno una parola. Il tema, per capirci, non è entrato nel dibattito nemmeno nelle settimane successive, quando il leader della Lega ha aperto la crisi di governo che ha poi portato alla nascita del Conte 2. E questo nonostante il durissimo scontro tra Salvini e il premier, culminato il 20 agosto nel match pubblico in Senato. Davvero curioso, soprattutto per un tema centrale per il Paese al punto che in queste ore Di Maio arriva a minacciare la crisi mentre Salvini chiede l'intervento di Sergio Mattarella.

La sensazione, insomma, è che più che «smemorati» i due leader di M5s e Lega abbiano colto la palla al balzo per ragioni strettamente propagandistiche ed elettorali. Perché una cosa è mettere in discussione il Mes indicandone le possibili criticità (come hanno fatto, per esempio, Carlo Cottarelli o Giampaolo Galli). Altra è cavalcare l'onda antieuropeista fingendo di ignorare che l'Italia ha contribuito attivamente ai tre quarti dell'iter di riforma del Mes. Soprattutto se a guidare la crociata sono Di Maio (vicepremier e ministro dello Sviluppo economico per 14 mesi, oggi ministro degli Esteri) e Salvini (anche lui vicepremier e ministro dell'Interno per 14 mesi). Ma in questi tempi di politica fluida, è ormai tutto possibile. E così il leader del M5s è pronto a compromettere la credibilità internazionale del Paese con l'ennesima marcia indietro dopo quella sull'Ilva solo per cercare di riaffermare la sua leadership e ricompattare un Movimento che è ormai allo sbando. Il capo della Lega, invece, preme sull'acceleratore per ragioni diverse. La prima è che Salvini ha capito che è arrivato il momento di affondare il colpo e provare a far vacillare il governo, magari nella speranza che a gennaio - dopo l'approvazione della legge di Bilancio - saltino finalmente i delicati equilibri che tengono insieme M5s e Pd. La seconda è la crescita di Fratelli d'Italia. L'exploit elettorale in Umbria, infatti, è stato seguito da una costante crescita del gradimento di Giorgia Meloni.

Al punto che l'ultima rilevazione Ipsos ha visto la leader di Fdi (40%) sorpassare proprio Salvini (37) e piazzarsi seconda nella classifica dei politici più apprezzati (primo Conte al 43%).

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