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Luigino in caduta libera tiene in ostaggio i 5s: è il padrone della cassa

Il capo politico controlla il conto corrente dei rimborsi, dove ci sarebbero 5 milioni di euro

Luigino in caduta libera tiene in ostaggio i 5s: è il padrone della cassa

Dal matrimonio impossibile al «Sì» in poche ore. Com'è possibile che i promessi sposi dalla concordia miracolosa, Pd e M5s, litighino solo sul compare d'anello? Una possibile spiegazione sta nel potere reale accumulato dall'uomo della discordia, Luigi Di Maio: legami, nomine e, soprattutto, un conto in banca cointestato a lui in cui sono affluiti milioni.

Il capo politico è ormai contestatissimo all'interno del Movimento, dopo un anno di sconfitte elettorali, dopo aver portato il consenso dei pentastellati dal 33 al 17%, dopo il collasso delle europee con tanto di tentato golpe di Alessandro Di Battista. All'inizio delle trattative, dice una fonte pentastellata di governo, il M5s era pronto a chiedere a Di Maio, che aveva legato troppo le sue fortune a Matteo Salvini, un passo di lato. I primi retroscena raccontavano infatti di un veto posto dal Pd sulla sua figura non contestato dal M5s. Si era perfino tenuta una riunione dei gruppi parlamentari grillini in assenza del capo politico, ufficialmente «perché potessero sentirsi più liberi di parlare». Poi, dice la fonte, si è capito che «Luigi poteva creare troppi problemi». Eppure Grillo e Casaleggio hanno chiaramente puntato tutto su Giuseppe Conte, con un'operazione di immagine che lo ha promosso a volto del Movimento e del governo, al posto del giovane vice premier. Di Maio poteva essere scartato, ma all'improvviso il M5s ha cominciato a fare muro. Ieri è arrivata una selva di dichiarazioni coordinate di parlamentari e sottosegretari, da Fantinati a Dall'Orco. Il Pd ha resistito fino all'ultimo, facendo sapere che non «c'erano veti su Di Maio al governo», purché non a Palazzo Chigi. E Luigi ha replicato stizzito: «Qualcuno sembra più concentrato a colpire il sottoscritto che a trovare soluzioni». Alla fine un posto nel governo giallorosso l'avrà. Luigi, leader fantasma eppure immortale.

«Di Maio - spiega il deputato Davide Galantino, tra gli ultimi fuoriusciti da M5s - ha scelto molti candidati, regalando un posto in Parlamento a gente che non ha fatto un giorno di militanza e ora gli è fedele». Ma, soprattutto, è il capo del Comitato per le «restituzioni» che gestisce i 2mila euro al mese versati dai parlamentari. Soldi che, dopo lo scandalo rimborsopoli, non vanno più al Fondo per il microcredito, ma finiscono su un conto bancario intestato ai tre componenti del Comitato: Di Maio e i due capigruppo Francesco D'Uva e Stefano Patuanelli, in carica (vedi statuto firmato davanti al notaio Luca Romano il 7 agosto 2018) fino allo scioglimento delle Camere. «Oggi - dice Galantino - se non sono state fatte altre restituzioni, dovrebbero esserci 5 milioni di euro su quel conto». Lo statuto prevede che i tre membri del comitato possano essere estromessi da assemblea a consiglio direttivo. I cui membri sono sempre i due capigruppo e Di Maio l'intoccabile.

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