Politica

Luigino e Matteo, dai baci agli insulti

A maggio "sintonia". Ora si passa alla "ceppa" e al "governassi solo..."

Luigino e Matteo, dai baci agli insulti

La parola chiave, nelle dichiarazioni pubbliche di questi cinque mesi di «governo del cambiamento» è stata «sintonia». Un feeling dato per scontato o rivendicato davanti ai microfoni per gettare acqua sul fuoco delle contraddizioni gialloverdi. A seconda dei casi e degli alti e bassi di un rapporto politico, quello tra Lega e M5s, che nelle ultime settimane sembra deteriorato. Partendo dal principio, dal giuramento dei nuovi ministri al Quirinale, a catturare l'attenzione degli obiettivi quasi pruriginosi al tempo della Terza Repubblica fin da subito sono stati i sorrisi e gli sguardi complici sfoderati da Luigi Di Maio e Matteo Salvini all'esordio ufficiale dell'esecutivo.

Poi le frasi, pronunciate nei vari salotti televisivi: «Andiamo d'accordo», «governiamo bene insieme», «ci sentiamo quasi ogni giorno». Ma sui temi decisivi dell'agenda politica, la coppia ha sempre navigato a vista. I primi scricchiolii nell'intesa ci sono stati sul tema dell'immigrazione. Il ministro dell'Interno dall'inizio ha mostrato i muscoli con i profughi, prendendosi tutta la scena mediatica. Il capo politico grillino ha sempre appoggiato pubblicamente la linea Salvini, anche se il pugno duro con i barconi cominciava a dar fastidio a una parte del M5s.

E il ruolo dell'alter ego pentastellato alle politiche leghiste se l'è preso Roberto Fico. Già il 30 giugno il presidente della Camera avvertiva: «Io i porti non li chiuderei». Passa un mese e Fico dice: «Migranti? Non puoi lasciarli in Libia». Poi scoppia il caso della Nave Diciotti e il grillino ortodosso interviene con un tackle a gamba tesa: «I migranti devono scendere». Uno stillicidio che ha portato al non voto di cinque senatori M5s sulla fiducia al decreto.

Il fuoco amico, a parti invertite, è proseguito sul reddito di cittadinanza. Qui la parte del leone l'ha fatta Giancarlo Giorgetti, sottosegretario a Palazzo Chigi in quota Carroccio. Per uno degli uomini chiave della Lega, la misura grillina «contro la povertà» «è complicata da attuare». Di Maio e Conte, irritati in privato, si sono limitati a rispondere: «I soldi ci sono, si farà».

Arriviamo così alle polemiche leghiste sulla riforma della prescrizione contenuta nel ddl Bonafede, con tanto di cena chiarificatrice Conte-Di Maio-Salvini e compromesso sull'attuazione della norma a partire dal 2020. Sempre sullo «spazzacorrotti», il termometro della crisi ha registrato picchi di febbre con gli emendamenti leghisti al cosiddetto comma «Salva Casaleggio» sulle associazioni legate ai partiti politici e il rilancio della posta attraverso una proposta di modifica agli articoli riguardanti il peculato, reato per cui sono sotto inchiesta o condannati alcuni politici del Carroccio.

Infine il botta e risposta che tiene banco in queste ore: la costruzione di nuovi inceneritori in Campania. «Non c'entrano una beneamata ceppa, non sono nel contratto - ha fatto sapere Di Maio all'alleato - Salvini non crei tensioni nel governo». Il ministro dell'Interno, invece, è disposto ad andare oltre il contratto perché «la realtà cambia, c'è bisogno di andare avanti. Governassi da solo...».

E a Milano è apparso un nuovo murales in cui i due leader non si baciano più con la lingua, ma si danno le spalle.

Commenti