Politica

Lula, il giorno più lungo L'attesa dell'arresto tra i suoi metalmeccanici

L'ex leader della sinistra doveva consegnarsi alle autorità. Al sindacato operaio prima del carcere

Paolo Manzo

San Paolo L'ordine di cattura emesso giovedì notte dal giudice Sergio Moro era stato chiaro come il sole: il condannato a 12 anni e un mese per corruzione e riciclaggio Luiz Inácio Lula da Silva «in quanto autorità ed ex presidente» - aveva tempo fino a ieri alle 17 (le 22 in Italia) per consegnarsi alla polizia federale di Curitiba, nel Sud del Brasile, dove avrebbe dovuto scontare l'inizio della sua pena.

Se ciò non fosse successo, invece, le forze dell'ordine brasiliane avrebbero dovuto procedere al suo arresto, senza però ammanettarlo e, una volta in carcere, Lula avrebbe avuto a sua disposizione non una cella ordinaria ma, addirittura, un intero dormitorio della polizia trasformato per lui in uno stanzone enorme con tanto di bagno interno e acqua calda.

Inoltre, sempre in quanto «autorità ed ex presidente» e a differenza degli altri detenuti, avrebbe avuto non una, bensì due ore d'aria ogni giorno e un tempo per le visite differenziato, affinché i suoi ospiti potessero andare a trovarlo senza incrociare i parenti di altri arrestati nell'ambito della Lava Jato, la Mani Pulite verde-oro che ha portato alla condanna di decine di imprenditori e politici corrotti. L'ultimo dei quali è proprio l'ex sindacalista idolo della sinistra mondiale, evidentemente ancora molto amato dai «nostri» D'Alema, Bersani, Camusso, Epifani & co., firmatari di un appello per il «povero» Lula.

Bene, al di là del fatto che Lula è tutt'altro che «povero» proprio grazie ai milioni intascati dalla corruzione da lui coordinata quand'era presidente e che ha portato multinazionali come la Odebrecht e la petrolifera Petrobras a pagare tangenti miliardarie, sia dentro che fuori dal Brasile, al momento in cui andiamo in stampa l'ex presidente non si è consegnato, come avrebbe fatto chiunque con un minimo di senso dello Stato e rispetto per le istituzioni del proprio Paese.

No, il solitamente coraggioso Lula prima si è asserragliato in numerosa compagnia nella sede del sindacato dei metalmeccanici di Sao Bernardo do Campo, la città di oltre un milione di abitanti nell'hinterland di San Paolo dove risiede. Poi ha chiamato a raccolta altre centinaia di suoi supporter, quasi tutti a libro paga. Infine, ha fatto dire per bocca dei suoi tanti ventriloqui la maggior parte dei quali indagati per corruzione di essere «pronto a resistere fino alle estreme conseguenze».

Responsabilmente, la polizia federale l'organo tenuto a compiere l'arresto più importante di tutti i tempi in terra brasiliana ha detto che interverrà solo quando sarà possibile farlo «senza mettere a rischio l'incolumità di chicchessia» e, dunque, non è affatto detto che quando leggerete questo articolo sul Giornale, cuor di leone Lula sia già dietro le sbarre. Inoltre, più passano le ore, più aumentano le possibilità di violenze in strada, soprattutto da parte di gruppi come il Mst, il Movimento dei Senza Terra, e il Mtst, il Movimento dei Senza Casa, legati in modo inossidabile all'ex presidente e che hanno dichiarato, senza troppi giri di parole, che da ieri si considerano «in guerra».

Al di là delle dichiarazioni roboanti, di certo c'è a questo punto che né il Pt di Lula né chi lo appoggia con in testa i «nostri» D'Alema & co. - riconoscono la giustizia brasiliana e tanto meno la pena del carcere, considerando la sentenza di condanna «politica, di parte, non basata su prove ed avente come obiettivo solo quello di impedire il ritorno alla presidenza della repubblica del politico più amato oggi in Brasile», come espresso ieri da un comunicato del partito.

La telenovela dell'arresto di Lula è dunque solo all'inizio.

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