Politica

L'ultima incoerenza di Renzi: una poltrona al Senato

Vuole candidarsi a Palazzo Madama dopo aver tentato di cancellare la camera alta

L'ultima incoerenza di Renzi: una poltrona al Senato

Roma - Matteo Renzi predica bene ma razzola male. Il segretario del Pd assomiglia sempre di più a un prete di provincia, che puntualmente tradisce i moniti lanciati dal pulpito. Se dovessimo scegliere una massima per sintetizzare la stagione renziana non ci sarebbe alcun dubbio: il proverbio - «fate quello che dico ma non quello che faccio», attribuito ai parroci, rispecchia perfettamente il paradosso della politica del rottamatore. Dall'ascesa al declino: il leader dei democratici ha sempre smentito con i fatti gli annunci.

L'ultima giravolta si è consumata sulla proposta di abolire il canone Rai. Uno spot elettorale che ha scatenato critiche e proteste. A Palazzo Chigi sedeva Matteo Renzi, non una sosia, quando il governo decise di inserire il pagamento del canone nella bolletta della luce. Un anno dopo, l'ex premier, ha cambiato idea nel tentativo di recuperare terreno per la sfida elettorale. La retromarcia sul canone Rai è stata così evidente che il ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda, è stato costretto a smentire l'ex premier: «Il governo Renzi ha messo canone in bolletta e non si può promettere in campagna elettorale il contrario di quello che si è fatto». E sull'argomento Rai, Renzi è recidivo. Dopo l'arrivo al governo, il segretario del Pd aveva annunciato: «Via i partiti dai Cda e dalla Rai». Ovviamente, nel momento delle nomine il Pd ha piazzato nel Cda Guelfo Guelfi, spin doctor della campagna comunicativa di Renzi e direttore della società di comunicazione della Provincia di Firenze (Florence Multimedia) e Rita Borioni, storica dell'arte, assistente parlamentare, viceresponsabile cultura del Pd. Nella furia rottamatrice, il Senato doveva sparire.

Bocciata la riforma dal referendum, Renzi ora è in corsa per un seggio al Senato e punta a sedere in quel Palazzo che non più tardi di un anno fa voleva abolire. Restando in tema elettorale, come dimenticare la battaglia dei renziani contro i piccoli partiti. Quel desiderio di semplificare il quadro politico. Peccato che oggi i pasdaran del rottamatore rincorrano i partitini, dai Radicali ai centristi, per racimolare qualche voto in più.

Insomma, cambiare idea è il piatto forte del menù renziano. Prima dell'arrivo Palazzo Chigi, Renzi aveva assicurato: «Mai al governo per inciuci di palazzo». Poi, grazie agli inciuci, ha silurato l'ex presidente del Consiglio Enrico Letta. E su Denis Verdini? Una colonna portante dei mille giorni di governo. «Non è il mio tipo», aveva detto Renzi. Ma il capolavoro è sull'articolo 18. Nel 2012 sentenziò: «Non ho trovato un solo imprenditore, in tre anni che faccio il sindaco, che mi abbia detto Caro Renzi, io non lavoro a Firenze o in Italia, non porto i soldi, perché c'è l'articolo 18. Non c'è un imprenditore che ponga l'articolo 18 come un problema». Arrivato al governo, Renzi ha cancellato l'articolo 18. E non più tardi di un paio di settimane fa ha difeso la riforma: Reintrodurre l'articolo 18? Se dipenderà da me, mai. Perché l'articolo 18 è un totem ideologico di una parte del sindacato, non è la garanzia di tutti i problemi».

Chissà, magari nei giorni caldi della campagna elettorale cambierà nuovamente idea.

Commenti