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L'ultima lite con Renzi poi il grande addio: Alfano getta la spugna

Decisivo lo scontro sul biotestamento. In tv l'annuncio: "Alle elezioni non mi ricandido"

L'ultima lite con Renzi poi il grande addio: Alfano getta la spugna

Come quel tale che diceva: «A volte mi vengono idee che non condivido». Così Angelino Alfano lascia. Salta un giro, spariglia, si fa esplodere il partito sotto la poltrona. «Non mi candiderò: dal 5 marzo, se si voterà il 4, non sarò né parlamentare, né ministro», giura davanti al terzo ramo del Parlamento, il Porta a Porta di Bruno Vespa. «Voglio dimostrare che quanto ho fatto in questi anni è stato dettato da sincera convinzione, non si fa politica solo dagli scranni parlamentari». Insomma: un Angelino di governo che trasfigura nell'ascetico Angelino di lotta nelle piazze.

Fino all'ultimo minuto, lui stesso non voleva (non poteva) crederci. D'altronde aveva continuato a rassicurare il fraterno amico Maurizio Lupi e la ministro Lorenzin, tappi di una diga più volte sul punto d'esplodere, che nulla sarebbe cambiato nell'alleanza Ap-Pd. Dopo la débacle in Sicilia così come dopo l'annuncio di Renzi dell'accelerazione sul biotestamento. «Vedrete, fidatevi, sarà come le altre volte». Non lo è stato e i maggiorenti del partito l'avrebbero indotto a togliersi di mezzo. Anche perché con il leader del Pd i rapporti, deteriorati dalla scarsa consistenza dimostrata in Sicilia, da tempo si sono raggelati. E se molti cicchittiani, nonché la medesima Lorenzin, si sono ritenuti liberi di cominciare a trattare in proprio per collegi sicuri in aree pd (c'è chi spera d'essere inserito persino nelle liste proporzionali), il segretario di Ap doveva cercare di tenere assieme la truppa mentre era chiaro che il terreno franava sotto i piedi. La successione di scosse telluriche delle ultime ore tramortivano il povero Angelino. Dopo la nascita di Liberi e Uguali e il buon riscontro avuto da Grasso leader, sfumate le velleità di Pisapia di dividere il fronte sinistro, ecco Renzi lanciarsi nell'inseguimento di LeU a sinistra. In una telefonata burrascosa, dopo un paio di tentativi andati a vuoto, Alfano capiva che da quel lato non c'erano più margini. «Angelino, 'hapiscimi... Se non fo' neppure questa, l'elettorato di sinistra davvero mi finisce per votare Grasso». E quando ieri, nella capigruppo del Senato, alle proclamazioni teoriche sono seguiti fatti concreti, Angelino s'è visto nel cul de sac. Troppo vasto il fronte del sì sul biotestamento, superflui i voti di Ap a Palazzo Madama, così come i 1590 emendamenti ostruzionistici avanzati (altri 1200 li ha presentati la Lega). Le dichiarazioni del capogruppo pidino Zanda tagliavano la testa al toro: «Per noi questa legge è una priorità».

Questione di vita per il Pd, di morte per Ap (o almeno per Alfano). Il passo successivo è stato quello di «prendere atto», quindi la burrascosa telefonata con Lupi, furibondo per «tutte le frottole che mi hai detto» (e che gli hanno creato non poche frizioni con i ciellini lombardi, da tempo pronti a tornare con Berlusconi). Il resto del partito apprendeva la decisione dalle agenzie, nel tardo pomeriggio. Veniva convocata una segreteria d'urgenza (la direzione è già prevista lunedì), nella quale volavano i panni sporchi e la testa di Alfano era la pietanza d'onore. «È stata una scelta molto personale - la versione ufficiale rivelata poco prima a Vespa - Non ho ancora parlato con Renzi, l'ho detto soltanto ai familiari e, venendo qui, per telefono a Gentiloni...».

Eccezion fatta per quest'ultimo, buona parte dell'elettorato ora risulta mezzo avvisato.

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