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L'ultimo orrore dell'Isis: una fossa con 200 morti sotto al campo da calcio

La scoperta a Raqqa, già capitale del Califfato Forse la stessa sorte è toccata a padre Dall'Oglio

L'ultimo orrore dell'Isis: una fossa con 200 morti sotto al campo da calcio

Gian Micalessin

L'hanno trovata non lontano dallo stadio di Raqqa. È bastato scavare un po' per far saltare fuori i resti d'una cinquantina d'esseri umani. Più sotto, però, altri corpi, altre ossa, attendono di venir alla luce. Secondo le prime stime tra le zolle di quella fossa comune si nasconderebbero almeno 200 cadaveri. Certo non è la prima. E non sarà l'ultima. Molte altre fosse comuni attendono di venir scoperte dentro e fuori Raqqa, l'ex capitale siriana dello Stato Islamico espugnata dai curdi a fine ottobre.

Questa, scavata proprio sotto lo stadio, contiene anche molti cadaveri di militanti dello Stato Islamico uccisi durante le ultime fasi della battaglia quando gli uomini del Califfato resistevano trincerati nel vicino ospedale. I loro resti sono riconoscibili perché indossano ancora le divise e sono stati «etichettati» con il nome di battaglia. Ma accanto a quei cadaveri ci sono quelli di tanti civili. Molti sono probabilmente caduti nel corso dei raid aerei americani, ma altri potrebbero appartenere alle vittime delle centinaia, o forse migliaia, di esecuzioni susseguitesi negli oltre quattro anni di dominio delle Bandiere Nere.

Una fossa comune come quella scoperta ieri cela, probabilmente, anche il mistero di padre Paolo dall'Oglio, il gesuita italiano di cui non si hanno più notizie dal 29 luglio del 2013, quando si presentò in una Raqqa da poco caduta nelle mani dello Stato Islamico. Cosa c'era andato a fare? Da quel poco trapelato in questi anni l'allora 58enne prete italiano, grande conoscitore di una Siria a cui aveva dedicato gli ultimi trenta anni della sua vita, si sarebbe spinto a Raqqa per trattare la liberazione del vescovo greco-ortodosso Boulos Yazigi e di quello siriaco ortodosso Yohanna Ibrahim Syriac sequestrati il 22 aprile 2013 nella provincia di Idlib da un gruppo armato confluito poi nello Stato Islamico.

Stando al resoconto, considerato abbastanza attendibile, di un disertore dello Stato Islamico conosciuto con il soprannome di Abu Ahmed Al Siri - il 28 luglio Dall'Oglio bussa per due volte al quartier generale dello Stato Islamico, ma viene messo alla porta. Secondo quel testimone la missione del gesuita si trasforma ben presto in un viaggio senza ritorno. Domenica 29 luglio, al terzo tentativo, il prete si ritrova al cospetto di Kassab al Jazrawi, un comandante il cui nome di battaglia suona come Kassab «il macellaio». L'incontro non è dei migliori. «Sono giorni - lo apostrofa il comandante - che ti diciamo di toglierti di mezzo, cos'aspetti a levarti dai piedi?». Dall'Oglio innervosito da un «macellaio» imperterrito nel chiamarlo «infedele» inizia a rispondere a tono. «Ma tu che mi dai dell'infedele quanti anni hai? Mi sa che quando leggevo per la prima volta la biografia di Maometto tu non eri ancora nato».

A quel punto un Kassab, umiliato davanti ai suoi uomini, alza le mani su padre dell'Oglio che non esiterebbe a reagire. Secondo chi conosceva il carattere risoluto di Dall'Oglio proprio questo particolare comproverebbe l'attendibilità del testimone. Da lì l'inevitabile epilogo. Kassab, infuriato, fa arrestare il gesuita lo consegna ad una sedicente Corte Islamica che lo condanna, come preteso da Kassab, all'impiccagione. Portato in auto nella zona di al Mansoura il gesuita viene impiccato al cospetto dello stesso Kassab che subito dopo ordina di «occultare il cadavere e buttarlo in una fossa».

Una fossa che nasconde ancora oggi il mistero di padre Paolo Dall'Oglio.

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