Cronache

L'ultrà e le bugie in punto di morte: "Solo un incidente, passavo per caso"

L'omertà di Daniele Belardinelli coi medici che cercavano di salvarlo

L'ultrà e le bugie in punto di morte: "Solo un incidente, passavo per caso"

L'arrivo nell'auto di due ultrà dell'Inter, il dolore intenso, il sangue ovunque nell'abitacolo: e il tifoso moribondo che affida ai medici la sua ultima bugia. È drammatico, ma fa chiarezza su molti punti rimasti nell'ombra il film degli attimi in cui Daniele Belardinelli viene preso in carico dal pronto soccorso dell'ospedale San Carlo. Dalla consegna del ferito davanti all'ingresso alla sala operatoria: ecco la ricostruzione minuto per minuto che il Giornale è in grado di compiere. E che viene alla luce nelle stesse ore in cui la Procura notifica a 23 ultrà di Inter e Napoli accusati di rissa aggravata e di omicidio volontario, l'invito a partecipare con propri consulenti all'autopsia di Belardinelli.

L'ingresso al pronto soccorso del tifoso del Varese è registrato alle 20.15 del 26 dicembre. La battaglia di via Novara prima di Inter-Napoli è cominciata circa un'ora prima. Il 39enne è stato travolto da una o due macchine durante gli scontri. Lo accompagnano due ultras nerazzurri, che lo hanno preso in consegna dai napoletani e verranno poi indagati. «Dede» non viene scaricato nel piazzale, come qualcuno ha sostenuto. Rimane sulla macchina e i suoi amici chiamano gli infermieri del reparto. Questi ultimi mettono il ferito sulla barella e lo portano dentro. Prima di ripartire i due tifosi hanno appena il tempo di dire: «È stato investito da un pirata, mentre attraversava la strada. Noi lo abbiamo raccolto». Un incidente stradale come tanti altri. Non parlano degli scontri, non dicono di sapere chi l'ha tirato sotto.

Lo stesso dirà Belardinelli ai medici e ai paramedici: «Mi ha investito un'auto, passavo per caso». È cosciente, molto sofferente, affaticato, ma è in grado di parlare. Non ha documenti con sé, ma non fa quello che dice il codice degli ultras feriti nelle risse: non dà false generalità. Viene infatti registrato con il suo vero nome. Ma resta fedele alla regola ultrà del silenzio. Sa bene perché era in via Novara, probabilmente sa bene che a investirlo è stata un'auto dei napoletani. Ma non dice niente. Oltre che scioccato è agitato. Ha perso tantissimo sangue. Capisce ed esegue le indicazioni che gli vengono date, risponde alle brevi domande che gli vengono rivolte. Per i soccorritori è subito chiara la gravità delle lesioni, un «politrauma». Salta all'occhio la frattura scomposta a una gamba. Né medici né infermieri perdono troppo tempo a chiedere al 39enne cosa gli è successo. La priorità è salvargli la vita.

È sedato e portato in sala operatoria. Si scopre che il trauma più grave, impossibile da trattare, è al bacino. È fracassato. I medici fanno il possibile, molte trasfusioni. Ma Belardinelli morirà poco dopo essere uscito dalla sala operatoria. Probabilmente non sarebbe sopravvissuto neppure se i suoi compagni di curva non lo avessero spostato e caricato in auto. Se avessero chiamato un'ambulanza, come è tassativo fare in questi casi. Ma un'ambulanza nell'inferno di via Novara non sarebbe mai potuta entrare.

Ora, su quei nove minuti di sangue e follia e sulla morte di Belardinelli l'inchiesta prosegue a ritmi serrati, e punta ugualmente contro interisti e napoletani, contro gli amici del morto e contro la banda rivale, quella di cui facevano parte gli investitori.

Gli avvisi di garanzia per rissa e omicidio riguardano una quindicina di ultrà partenopei, il resto sono capi e gregari della Curva interista: tra cui Alessandro Caravita, figlio di Franco Caravita, uno dei fondatori dei Boys.

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