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L'unico record del governo: ha chiesto 57 volte la fiducia

L'esecutivo si difende: "Colpa dell'ostruzionismo". Prescrizione, in commissione c'è l'accordo tra Pd e Ncd

L'unico record del governo: ha chiesto 57 volte la fiducia

Cinquantasette voti di fiducia in due anni di governo. Con l'approvazione, ieri alla Camera, del decreto Enti Locali l'esecutivo guidato da Matteo Renzi si aggiudica il record delle fiducie. Non che i suoi predecessori siano stati da meno: il governo Monti la pose in due anni ben 51 volte, quello Berlusconi 45 (ma in tre anni), quello Prodi 38 volte. E va anche detto che, nel computo, rientrano pure i voti di fiducia chiesti dalle opposizioni sulle loro mozioni volte a mandare a casa il governo per questo o quel motivo: tradizione che con il governo Renzi si è anch'essa rinverdita.

Sta di fatto, però, che i numeri assoluti incoronano Renzi vincitore della gara, un record negativo a giudizio dei paladini del Parlamento. Tra i quali si è annoverato anche il presidente emerito Giorgio Napolitano, che ai tempi rivolse dal Quirinale un severo monito al governo Berlusconi, che pure ha totalizzato un numero di voti di fiducia inferiore, paventando una «inaccettabile compressione delle prerogative delle Camere». E toni ancor più duri vennero usati dal Pd, che all'epoca era all'opposizione. Quando poi si diventa maggioranza, i toni cambiano perché occorre fare i conti con le lentezze parlamentari. Lo stesso Renzi, a chi gli contestava il record di decreti e fiducie, rispose rivendicando seccamente il decisionismo governativo: «Posso garantire che il numero aumenterà anche in futuro».

Il sottosegretario Gianclaudio Bressa, che ha seguito l'iter del dl approvato ieri, sottolinea la necessità di certezza di tempi certi, assicurata dal voto di fiducia ma non dall'iter ordinario: «Il decreto andava approvato obbligatoriamente entro il 31 luglio, data entro cui gli enti locali devono presentare i bilanci». E ricorda che «i regolamenti parlamentari corrispondono ancora ad assetti da Prima Repubblica». Lo ribadisce anche il capogruppo Pd Ettore Rosato: «In assenza di una riforma del Regolamento, la fiducia serve non a forzare i numeri, problema che alla Camera certo non abbiamo, ma a superare gli ostruzionismi, che con i Cinque Stelle sono diventati la norma». Senza contare, aggiunge, che «questo governo ha una produzione record di riforme su questioni anche molto contrastate: dalla legge elettorale alle unioni civili. Temi su cui, senza un intervento deciso del governo, saremmo ancora al palo». E la riforma costituzionale, assicura Rosato, serve anche a risolvere questi problemi: «Ci saranno tempi certi, e quindi meno decreti e meno fiducie».

Stavolta però è il presidente del Senato Pietro Grasso ad ergersi a paladino delle opposizioni (e, sotto sotto, del bicameralismo): certo, ci sono «ritardi indiscutibili» nel procedimento legislativo, ma la colpa non è «solo del sistema bicamerale: nella maggior parte dei casi è la mancanza di accordi politici», dice - proprio mentre in commissione Giustizia si trova l'accordo tra Pd e Ncd e si sblocca la vexata quaestio della prescrizione, con quello che il ministro Orlando definisce «un buon punto di equilibrio».

E dopo aver difeso i costi morigerati e il fondamentale ruolo del Senato da lui presieduto, Grasso attacca il premier che vuole ridimensionarne i poteri: «La rappresentazione del prossimo referendum come il giudizio universale è inopportuna e irrealistica, tanto quando si dice che la riforma sarà la panacea di tutti i mali, come quando si prospetta la fine della democrazia se verrà approvata o la catastrofe se verrà respinta».

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