Politica

L'uomo del clan intercettato: "Tengo per il Pd, porto Graziano"

Nove arresti per gli appalti truccati ai Casalesi. Al centro dell'indagine 100mila euro di mazzette per il restauro di un palazzo. Il ruolo del politico: intervento sul Viminale per garantire i fondi

Il presidente del Pd campano e consigliere regionale Stefano Graziano, già consulente di Matteo Renzi a Palazzo Chigi, per la Dda di Napoli sarebbe un referente politico del clan dei casalesi, che avrebbe ricambiato con l'appoggio alle urne per le ultime regionali.

L'accusa per il politico dem - indagato in un procedimento per un presunto giro di tangenti che ha portato dietro le sbarre nove persone tra le quali l'ex sindaco di Santa Maria Capua Vetere, Biagio Di Muro - è messa nero su bianco nel decreto di perquisizione che ieri mattina i carabinieri hanno notificato a Graziano, setacciando il suo ufficio in regione Campania e le due case dell'ex parlamentare a Teverola e a Roma.

Per la Dda di Napoli, Graziano «ha chiesto e ottenuto appoggi elettorali con specifico riferimento alle ultime consultazioni per le elezioni del consiglio regionale della Campania. L'appoggio elettorale è stato richiesto e ottenuto in rapporto sinallagmatico con l'impegno da parte del politico di porsi come stabile punto di riferimento politico ed amministrativo dell'organizzazione camorristica denominata clan dei casalesi, fazione Zagaria». L'episodio che «inguaia» l'esponente Pd riguarda il restauro di Palazzo Teti Maffuccini, un bene confiscato alla criminalità e gestito dal Comune di Santa Maria Capua Vetere, destinato a diventare «polo per la cultura e della legalità», ma in realtà esemplare per il gip «di uno stretto rapporto tra camorra, imprenditoria e politica». Proprio quei lavori sono al centro dell'inchiesta che, ipotizzando il pagamento di tangenti per 100mila euro per pilotare l'appalto verso aziende vicine al clan, ha portato ai nove arresti. L'affare, però, rischiava di saltare. I tempi del finanziamento erano troppo brevi, serviva un intervento sul ministero dell'Interno. E proprio qui che Graziano, scrive la Dda, «si è prodigato, su indicazione di Di Muro (sindaco del comune, ndr), per lo spostamento dell'appostazione in bilancio dei fondi necessari per la realizzazione dell'opera (...) scongiurando la perdita del finanziamento in favore del comune, perdita che avrebbe comportato anche il fallimento della corruzione per la quale si erano attivati gli indagati».

L'episodio trova spazio anche nell'ordinanza. Che prima fa riferimento all'«intervento di un esponente politico» non meglio identificato, attivato presso il Viminale su input del sindaco Di Muro per spostare «l'impegno di spesa del Palazzo (...) dalla misura 2.5 (che mira alla riqualificazione e riutilizzo a fini sociali dei beni confiscati alla criminalità organizzata) al Pag, piano azione giovani sicurezza e legalità». E poi sembra identificare in quel politico proprio Graziano, soffermandosi sull'aiuto che il presidente del Pd campano «avrebbe dovuto fornire affinché il finanziamento del Palazzo potesse essere trasferito da un capitolato di spesa a un altro, consentendo margini di tempo meno ristretti».

Di questo parlano in macchina il sindaco Di Muro e l'imprenditore Alessandro Zagaria, «dominus» della vicenda, omonimo del boss e considerato «intraneo al clan», anche lui arrestato. Ma i due, sempre nella Chevrolet del sindaco, il 15 novembre 2014, prima di parlare del finanziamento da «prorogare» chiacchierano anche di elezioni. Zagaria «mostra di attivarsi direttamente per sostenere la campagna elettorale» di Graziano, rimproverando Di Muro «che non si sta attivamente impegnando». In dettaglio, l'imprenditore vicino al clan spiega di essere stato avvicinato da un certo «Pasquale» che «gli ha proposto di passare con lui». «Ma che c...o stai dicendo - racconta di aver risposto all'interlocutore Zagaria - io tengo per il Pd... io ti voglio bene a te... tu sei sempre l'amico mio (...) e già non sta bene... perché dobbiamo portare a Graziano». Poi arriva il rimprovero al sindaco: «E tu non ti fai vedere! Ti dovrei allontanare io a te, o no? Mannaggia la madosca». Più avanti, Zagaria dice criptico al sindaco che «quello domani va a Roma, e giovedì siamo qua».

Nelle intercettazioni spunta, de relato, pure il nome del ministro della Salute Beatrice Lorenzin, non coinvolta nelle indagini. Ne parlano Guglielmo La Regina e Loredana Di Giovanni, entrambi da ieri ai domiciliari. Il primo, progettista dei lavori del Palazzo Teti, si fa bello di una sua amicizia eccellente con la Di Giovanni, considerata l'intermediaria tra il clan e il comune di Santa Maria.

Raccontandole «della sua amicizia con Alessandro (Picardi), compagno del ministro Beatrice Lorenzin, con il quale egli andrà in vacanza e del fatto che la cosa potrebbe interessare il marito di Loredana (che opera in campo sanitario)».

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