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Il M5S in affanno al Senato allenta il pugno duro coi suoi

I numeri esigui dell'asse giallo-verde impongono cambi di linea: stop all'intransigenza e alle espulsioni facili

Il M5S in affanno al Senato allenta il pugno duro coi suoi

I parlamentari sono obbligati «a votare la fiducia, ogni qualvolta ciò si renda necessario, ai governi presieduti da un presidente del consiglio dei ministri espressione del Movimento 5 Stelle». Pena, ovviamente, l'espulsione e una multa salatissima da versare a Rousseau. Ma la stagione del rigore, dell'intolleranza zero per i dissidenti, della caccia ai ribelli che era stata messa nero su bianco a dicembre, alla vigilia del voto, nel nuovo codice etico dei cinque stelle, nasce azzoppata ancor prima di iniziare. Questione di numeri. E di real politik. Le norme del decalogo etico, con espulsioni facili per chi non rispetta la linea, rischiano di ritorcersi contro un movimento per il quale, ora che sta per entrare a Palazzo Chigi, la priorità più che la difesa della pura razza grillina è tenere il timone della maggioranza. Con un occhio al pallottoliere, soprattutto al Senato, dove i numeri risicati rischiano di far scricchiolare la fragile alleanza giallo-verde, composta da un pattuglione di 167 tra leghisti e pentastellati, a soli sei voti di scarto rispetto alla soglia di sicurezza di 161.

Per essere sicuro di tenere il proprio gruppo ed evitare emorragie di deputati e senatori, il Movimento potrebbe vedersi costretto a chiudere più di un occhio sui paletti disciplinari imposti dal regolamento interno. Uno scenario plausibile se si guarda a cosa è accaduto nella scorsa legislatura, quando il M5s si è perso per strada il 35 per cento degli eletti, tra sospesi, espulsi, ed emigrati spontanei passati al Misto o ad altri lidi. Anche per questo contro i cambi di casacca è stata introdotta la multa da 100mila euro. Ma si tratterebbe di una sanzione incostituzionale secondo i più, perché viola l'articolo 67 della nostra Carta che sancisce l'assenza del vincolo di mandato.

Al di là delle carte bollate, i vertici, dai probiviri al capo politico, ci penseranno due volte prima di sospendere o espellere gli «indisciplinati», visto che negli ultimi cinque anni il repulisti è costato un saldo negativo di oltre la metà dei componenti del gruppo a Palazzo Madama: erano partiti in 35, alla fine ne erano rimasti 19. A Montecitorio, il gruppo ne ha persi 21. In tutto una quarantina i grillini persi sotto la scure di un rigorismo che il movimento non potrà permettersi, almeno in questa prima fase. Tanto che per compensare eventuali emorragie, dal nuovo codice etico, oltre a far sparire il divieto di alleanze con altri partiti, che avrebbe impedito quella attuale con il Carroccio, era stato tolto anche il veto sull'ingresso di nuovi parlamentari provenienti da gruppi diversi.

Certezze però, non ve ne sono. Già con gli impresentabili, tra ex massoni, indagati e furbetti dei rimborsi, candidati per sbaglio e poi eletti, il Movimento ha perso otto parlamentari, anche se loro hanno giurato comunque fedeltà a Di Maio. Il documento che era stato fatto loro firmare, con le dimissioni anticipate, si è rivelato carta straccia, così come potrebbe accadere per il deterrente della multa ai dissidenti. Di qui la necessità di non provocare fuoriuscite dai gruppi. Ne va della maggioranza.

E della tenuta del governo.

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