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M5s, la fronda si allarga: in 19 contro il dl Sicurezza

Lettera di un gruppo di deputati: violato il contratto Di Maio li stronca: il patto col Carroccio va rispettato

M5s, la fronda si allarga: in 19 contro il dl Sicurezza

Più che la compatta e disciplinata «testuggine» evocata da Giggino Di Maio, il ben pagato esercito parlamentare dei Cinque Stelle somiglia alla sconclusionata Armata Brancaleone.

Ogni giorno spunta un nuovo problema: ieri, una ventina di deputati hanno fatto sapere di non condividere il decreto Sicurezza, quello che Matteo Salvini ha molta fretta di portare a casa perché ai primi di dicembre decadrà. Il capo leghista infatti sbotta: «Il decreto va approvato, e pure in fretta». E Di Maio si allinea, liquidando - come al solito senza congiuntivo - i dissidenti: «Credo che vogliono fare un'azione di testimonianza, ma mi aspetto lealtà al governo che va avanti finché è autonomo».

I frondisti però hanno maliziosamente messo nero su bianco, in una lettera al capogruppo, che il decreto viola il famoso «contratto di governo» tanto caro a Di Maio, che non faceva parola di misure simili, e che «contraddice il programma M5s». Per questo i 19 sottoscrittori (tutti parlamentari di prima nomina, molti campani) propongono emendamenti e chiedono un «confronto interno» che «però non c'è mai stato». Approvato al Senato con la fiducia e con molti patemi d'animo causati da cinque «dissidenti», che non hanno votato e sono stati deferiti al misterioso tribunale interno dei Probi Viri grillini (che finora non ha emesso sentenze), il decreto è ora in commissione a Montecitorio, e dovrebbe approdare in aula il 23 novembre. Con un testo blindato, anzi blindatissimo: qualsiasi modifica introdotta ora lo farebbe tornare al Senato, e i tempi salterebbero con grande scorno di Salvini. Quindi, come hanno ufficialmente garantito i grillini alla Lega, verrà approvato così com'è e probabilmente con la fiducia, per evitare dibattiti troppo approfonditi e incidenti di percorso.

I diciannove, però, si mettono di traverso. Rinfacciando in pratica a Di Maio di essere eccessivamente supino ai voleri di Salvini, e di negare la discussione interna (che nel M5s peraltro non è mai esistita, ma loro se ne sono improvvisamente accorti). Non sono abbastanza da impensierire il governo, visto che a Montecitorio i numeri sono abbondanti e Fratelli d'Italia darà la consueta mano, ma sono comunque molti più quanti ne fossero stati messi in conto: una nuova falla. C'è chi dietro la fronda vede la manina della corrente di Fico e di quella di Di Battista, vogliosi di fare le scarpe a Di Maio, logorandolo pian piano e appiattendolo sulla Lega. E c'è anche chi sospetta che sia tutta una messinscena studiata dalla Casaleggio, e simile a quella sulla «monnezza», per rianimare i declinanti consensi grillini alimentando lo scontro con il Carroccio e riagitando un po' di vessilli grillini. Ma una cosa è certa: il dl Sicurezza non si toccherà: niente emendamenti o modifiche dell'ultima ora. E il perché lo spiega con molto candore il presidente della Commissione Affari costituzionali, che ha il decreto al suo esame: «Il provvedimento resta problematico», confida il grillino Giuseppe Brescia in un'intervista a Internazionale, «ma non si può modificare: per tenere in piedi questo governo non credo che si possa rischiare di mandare tutto all'aria per delle sensibilità personali. Credo che si debba ingoiare questo rospo». E spiega che il do ut des con la Lega è chiaro: «Stiamo lavorando su un doppio binario: loro hanno ampio spazio su sicurezza e immigrazione», e in cambio «noi abbiamo l'ultima parola sul reddito di cittadinanza».

A ciascuno il suo rospo.

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