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M5s, la svolta di Di Maio: al governo con chi ci sta

Il candidato premier in privato si dice pronto a coalizzarsi dopo il voto. E guarda a Grasso

M5s, la svolta di Di Maio: al governo con chi ci sta

Tra il dire e il fare non c'è soltanto il mare dello Stretto. Una vittoria di M5s in Sicilia, è oramai chiaro, farebbe capire che il Paese non ha paura dei sans-culottes venuti su a pane e Beppe Grillo, ancorché organizzati dalla Casaleggio Associati. Ma nel contempo imporrebbe anche ai grillini di venire allo scoperto su un problema cruciale, quello delle alleanze post-voto. E se quella con Fava (Mdp) a Palermo non sarebbe necessaria, dopo le Politiche col Rosatellum restare afoni significherebbe per i grillini dover passare la mano. A questo, già da settimane, sta lavorando in gran segreto il nuovo capo politico Luigi Di Maio.

Non è perciò un caso il messaggio messo nella bottiglia dal leghista Salvini: «Io una telefonata a Grillo la farei» (ci ha provato). Non sono casuali neppure le levate di scudi susseguenti da parte dei dirigenti grillini d'ogni ordine e grado. A cominciare dallo stesso Di Maio: «Se Salvini cerca di rifarsi una verginità politica ammiccando ancora a un'alleanza con noi sbaglia di grosso. Noi non faremo alleanze con chi ha disintegrato il Paese...», ha detto il popolare Giggino per tagliare la testa al toro. Solo che il «toro» non sta tanto sul Carroccio, quanto a bordo del torpedone che, presa Palermo, vuole Roma (effetto collaterale benefico: far dimenticare le figuracce della Raggi in Campidoglio). Ma se la pattuglia dei giovanotti di prima fila non è affatto compatta, il popolare Giggino sa pure che non avrà occasioni altrettanto ghiotte per ritrovarsi premier più giovane della storia d'Italia.

Ai suoi collaboratori il Capo politico ha già chiarito il concetto, condiviso da Grillo e Casaleggio. «Dopo le elezioni, non potremo fare come nel 2013 con Bersani. Queste elezioni saranno l'ultima occasione per cambiare tutto. Se vinciamo, dovremo provare un'alleanza, su un programma di obbiettivi chiari e condivisi». Così, quando Di Maio parla di forze «che hanno disintegrato il Paese», sta in realtà ritagliando l'identikit di chi è nuovo alla politica esattamente come loro. Ovvero, Piero Grasso. Il presidente del Senato è stato spesso considerato «grillino il libera uscita», almeno dai più ottimisti del Movimento. Se davvero diverrà presidente del partito bersaniano, la circostanza offrirà prospettive finora (quasi) impensabili. Il volto «pulito» del Senato incarnerebbe per i grillini un'Italia non compromessa, con la quale si può provare a fare un governo (effetto collaterale: dare soddisfazione postuma al povero Bersani che non ci riuscì). Ovviamente resterebbero un paio di cosette da registrare. A cominciare dal peso politico di un D'Alema che non dovesse accontentarsi di aver fatto le scarpe a Renzi. Oppure evitare spaccature interne sull'alleanza, che sarebbe però vista ottimamente dall'ala oltranzista. Non a caso sia Fico che la Ruocco hanno sbarrato la porta a Salvini prima che il «moderato» Giggino potesse ripensarci. Di sicuro, dopo le urne, si busserà alla porta di un forno.

Ma sicuri che qualcuno sarà ben lieto di aprirla.

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