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Macché spending review Dopo Berlusconi boom della spesa statale

Sembrava che il problema per i conti pubblici fosse il Cav. Invece con Monti & C. le uscite sono arrivate al 46,5% del Pil

L'ex premier Mario Monti
L'ex premier Mario Monti

RomaNon ha funzionato la riforma Fornero delle pensioni. Non ha funzionato l'austerity di Mario Monti. Non ha funzionato il bonus da 80 euro di Matteo Renzi. Il costo dello Stato non solo resta mostruoso, ma è in continuo aumento. Nel 2014 le uscite correnti, al netto della spesa per interessi, si sono attestate a 692,4 miliardi di euro, ben 27 miliardi in più rispetto al 2010, l'ultimo anno interamente concluso dal governo Berlusconi, l'ultimo democraticamente eletto.

I fautori dell'emergenza non hanno risolto nulla, anche il presidente del Consiglio attualmente in carica. L'incidenza delle uscite dello Stato (sempre al netto degli interessi) rispetto al Pil si attesta ormai al 46,5 per cento. Insomma, lo Stato e le sue articolazioni spendono circa la metà di quanto produce il Paese. Significa che l'economia Italia è fortemente «intermediata»: c'è un governo che si occupa, al posto dei cittadini, di fare il vigile con i soldi altrui. Non a caso, la pressione fiscale registrata ufficialmente dall'Istat è giunta a un nuovo record del 43,5%, valore che supera sensibilmente il 50% ogniqualvolta si consideri l'incidenza del sommerso sul totale. Per gestire questo mostro servono sempre maggiori entrate e, dunque, è quasi inevitabile pensare che difficilmente la tendenza possa essere invertita.

Il «quasi» è rappresentato dal progetto di spending review messo a punto dal commissario Cottarelli e lasciato in un cassetto sebbene noto ai suoi successori Yoram Gutgeld e Roberto Perotti. «Il rischio che dal 2016 scattino le clausole di salvaguardia, con il conseguente aumento dell'Iva, è sempre più concreto», ha dichiarato il segretario della Cgia di Mestre, Giuseppe Bortolussi, estensore di una recente analisi sullo stato delle finanze pubbliche. Le famigerate clausole di salvaguardia, infatti, prevedono un incremento Iva da 12,4 miliardi l'anno prossimo e di 17,8 quello successivo. Il conto alla rovescia per evitare lo sfacelo è già partito. Anche perché, come di recente documentato dal Giornale , non ci sono soluzioni alternative visto che se la crescita economica non raggiungerà un tasso dell'1,5%, non ci saranno margini per lasciare il quadro invariato.

Prima di avviare una breve ricognizione su quali siano le voci sulle quali intervenire, è opportuno ricordare perché l'opinione comune sia portata a pensare che la spesa pubblica sia sotto controllo quando in realtà essa continua ad aumentare. In primo luogo, perché nel quinquennio 2010-2014 essa ha subíto nel suo complesso un incremento esiguo (+3% circa) a 826 miliardi. Merito di questo trend va ai tagli draconiani agli investimenti (-24% a 49 miliardi circa). Nessuna voce del bilancio dello Stato ha subíto una flessione così consistente. Il blocco degli stipendi nella Pa ha prodotto solo un risparmio del 5% (-8,7 miliardi). Idem le spese per l'assistenza, i farmaci e i medicinali (-2,5 miliardi).

Tutto il resto ha continuato inopinatamente a crescere. A partire dalle «prestazioni sociali in denaro» che comprendono pensioni, cassa integrazione e anche il bonus di 80 euro: +29 miliardi in cinque anni a quota 328 miliardi (+35% nel decennio 2005-2014, a fronte di un incremento dell'inflazione del 18% circa). In leggero avanzamento anche i consumi intermedi (gli acquisti di beni e servizi da parte dello Stato), ormai sopra i 90 miliardi. Tanto Renzi quanto Gutgeld quanto il presidente dell'Inps Boeri queste cifre le conoscono.

Ora tocca a loro evitare di aumentare ancora le tasse.

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