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Macron, guai senza fine. Mancava solo il giallo sull'addio del portavoce

Per ore sui siti d'informazione le dimissioni di Bruno Roger-Petit, che poi le smentisce

Macron, guai senza fine. Mancava solo il giallo sull'addio del portavoce

Parigi - La caduta continua. Il restauro del mosaico di governo non è stato sufficiente a rasserenare gli animi francesi. La Macronia registra l'uscita di scena del portavoce dell'Eliseo, per ore ieri sui siti d'informazione francesi e poi smentita in serata direttamente dall'interessato come «fake news», e crescono i dubbi sulle «grandi trasformazioni» da realizzare malgrado le «enormi sfide» rilanciate dal presidente nelle ultime ore.

Bruno Roger-Petit, uomo chiave del potere di Emmanuel Macron, aveva (o così almeno era parso) abbandonato la nave 24 ore dopo il rimpasto che martedì aveva riplasmato il governo. L'immagine presidenziale era già logora dopo l'addio in diretta tv dell'ex ministro per la Transizione ecologica Nicolas Hulot, sostituito dal più mansueto François de Rugy. Ma nessuno si aspettava che si dimettesse anche la ministra allo Sport, apparentemente per «ragioni personali». Invece Laura Flessel, già campionessa olimpica, ha abbandonato all'ultimo minuto e costretto Macron a un mini rimpasto. Presunte grane fiscali, per lei: in odore d'inchiesta penale per mancate dichiarazioni della «Flessel & co», la sua compagnia di diritti all'immagine, con un dossier della commissione dei reati fiscali (Cif) pronto ad esplodere.

Macron ha indicato al suo posto l'ex nuotatrice Roxana Maracineanu. Ma il governo non è più muto. Si parla di altre possibili defezioni per un presidente già riuscito nell'impresa di far peggio di François Hollande nei sondaggi: nello stesso periodo del quinquennato precedente, il socialista era al 32%, ricordato come il capo dello Stato più impopolare della V Repubblica. Oggi solo il 31% della popolazione si dice soddisfatta di Macron, con un crollo di dieci punti rispetto alla stessa rivelazione di luglio dell'Ifop.

I ministri soffrono l'uomo che da federatore di liberisti di destra e pezzi di sinistra socialista ha assunto via via i contorni del monarca, se non del despota. Circondato da fedelissimi, Macron continua a «promuovere» nomi di stretta osservanza, facendo cadere teste come quella del portavoce dell'Eliseo (ieri era circolata la notizia che sarebbe stato sostituito al vertice della comunicazione dell'Eliseo dal musicologo Sylvain Fort), durato meno di Nemo, il giovane labrador adottato per dare un'immagine più popolare di sé, e recuperandole in extremis.

La lezione dell'affaire Benalla non sembra servita. La crescita economica rallenta, la riforma del lavoro è solo parziale. La gestione del caso dell'ex bodyguard 26enne, protagonista di violenze il 1° maggio e tuttora sotto inchiesta, resta irrisolta. Il presidente non ha fornito risposte ai francesi che gli avevano affidato il potere con una sola promessa: il cambiamento. È finito invece nelle logiche più buie della République, degli affaire e delle sfuriate pubbliche dentro la sua stessa maggioranza parlamentare.

Il premier Edouard Phiippe, dopo giorni di tensioni, ha confermato che dal 1° gennaio 2019 entrerà in vigore il meccanismo del prelievo alla fonte per le imposte sui redditi nonostante i dubbi espressi dal capogruppo in Assemblea nazionale Richard Ferrand e dal segretario generale della République En Marche, Christophe Castaner. I problemi riscontrati durante i test, rivelati da Le Parisien, hanno fatto tremare Macron per giorni, costringendolo a un braccio di ferro «intenso» col ministro per i Conti pubblici Gerald Darmanin. Ha chiesto «chiarimenti» e indicato «miglioramenti» da applicare.

Ma sull'opinione pubblica resta scolpita la frase dell'ecologista Hulot, trasversalmente amato, che se n'è andato sbattendo la porta: «Sono stanco di mentire ai francesi, non voglio mantenere l'illusione che siamo all'altezza delle sfide».

A Macron restano tre anni e spiccioli per mostrarsi all'altezza del suo j'accuse.

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