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Macron si salva sulla sfiducia. Ma il Paese non gli crede più

Non passano le due mozioni dell'opposizione, però 8 francesi su 10 sono choccati. E spuntano nuovi video

Macron si salva sulla sfiducia. Ma il Paese non gli crede più

Il governo francese prova a chiudere l'affaire Benalla-Macron in aula. Non passano le due mozioni parlamentari di sfiducia presentate dalle opposizioni, ma restano tutte le ombre sul caso, giudicato sconvolgente da 8 francesi su 10: quello di una guardia del corpo di 26 anni in servizio all'Eliseo con un'inedita concentrazione di poteri ed una serie di privilegi ancora tutti da spiegare.

Alexandre Benalla deve rispondere di violenze, appropriazione di identità di polizia e diffusione di immagini riservate. Nell'inchiesta giudiziaria sono coinvolti agenti, alti funzionari, prefetti, ministri, con ruoli da protagonisti o come persone informate dei fatti. Ma l'esecutivo continua a identificare il caso con la responsabilità di un singolo, restringendo il campo politico e mediatico al solo episodio di Place de la Contrescarpe, Parigi, dove il 1 maggio Benalla picchiò due manifestanti in un'operazione di polizia.

E se la questione parlamentare sembra chiusa, il caso deflagra. Spunta un nuovo video che vede l'ex bodyguard di Macron all'opera poche ore prima dei fatti già contestati a lui e Vincent Crase, dipendente di En Marche disconosciuto dalla maggioranza presidenziale e dal segretario del partito. Entrambi sembrano fermare altre due persone al Jardin des Plantes e la procura ha aperto un altro fascicolo con l'accusa di violenze.

L'affaire, svelato da Le Monde due settimane fa, cresce. Ma il governo può contare su una maggioranza numericamente solida. Ieri nulla da fare per le opposizioni. Nessuna delle due mozioni di sfiducia ha raggiunto la soglia dei 289 voti. Solo 143 per quella dei gollisti, 74 per le sinistre (socialisti compresi). Numeri non sufficienti per far cadere il governo. Ma gli argomenti forniti dalle opposizioni pesano come macigni in una Francia che mai come ora ha seguito in diretta tv i lavori parlamentari e quelli delle commissioni d'inchiesta di Camera e Senato.

Sei ore di discussione. Il premier Edouard Philippe, forte della maggioranza, è definitivo: «Quel che doveva essere fatto, è stato fatto. Cosa volete sfiduciare, l'attività dell'esecutivo? Le riforme? Il presidente della Repubblica non risponde oggi a questa assemblea. Si è trattato dell'errore di un singolo, l'inchiesta giudiziaria farà chiarezza sui presunti favoritismi della polizia, non esiste nessun affare di Stato». «Si tratta invece tuona Jean-Luc Mélenchon di una corte dei miracoli i cui membri non figurano in nessun elenco, dove il ministro dell'Interno dice di non conoscere i soggetti coinvolti», insiste il leader dell'ultrasinistra riportando l'Eliseo e Macron al centro della discussione. «Benalla non è il problema, è il sintomo. Anche in un regime presidenziale il Parlamento ha il dovere di chiedere chiarimenti su un sistema parallelo di potere che non rispetta la professionalità dei servitori dello Stato preferendo affidarsi alle amicizie personali, a quel favoritismo malsano di cui abbiamo sentito parlare in commissione d'inchiesta». L'atmosfera è elettrica. Tutti sono consapevoli che o la va o la spacca. Macron sarà in vacanza a breve (sabato) e tutto o quasi si gioca in aula.

Perfino i lepenisti scelgono di votare entrambi le mozioni, quella delle sinistre e dei gollisti, che si affidano a Guillaume Larrivé per l'arringa finale: «La verità è che Macron si è impadronito del potere come Machiavelli si è introdotto a Firenze nel 1498, non è un capo di Stato, ma capo di un clan che si crede al di sopra delle regole e dello Stato stesso». Benalla sarebbe perfino entrato col suo badge personale in Assemblea nazionale durante il periodo di sospensione. «Invece ecco cosa ci avete lasciato: due minuti per interpellarvi e quattro per rispondere».

Chiarimenti: nessuno.

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