Politica

Mafia, Cantone scappa: "I controlli all'Expo non toccavano a noi"

Singolare difesa del capo dell'Anticorruzione Giallo sulle liste delle aziende coinvolte

Mafia, Cantone scappa: "I controlli all'Expo non toccavano a noi"

È una corsa a defilarsi, quella scatenata dall'inchiesta della Procura di Milano sulle infiltrazioni di Cosa Nostra nella Fiera e in Expo. Davanti alla durezza dell'intervento messo a segno dal pool antimafia e dai giudizi espressi pubblicamente dal suo capo Ilda Boccassini, ieri emerge come il vasto e costoso apparato di Authority, organi investigativi e controlli incrociati messo in piedi per fronteggiare l'ingresso delle cosche nell'economia pulita non abbia impedito che uno degli eventi più vigilati del Paese, l'esposizione universale del 2015, finisse nelle grinfie di aziende in odore di mafia. Eppure, dice la Procura di Milano, i segnali d'allarme c'erano stati.

Il più rapido nel cercare di chiamarsi fuori dal pasticcio è Raffaele Cantone, il capo dell'Anac, l'authority anticorruzione: che intervistato da Radio 24 dichiara testualmente «il nostro ruolo era controllare gli appalti, noi non ci occupavamo dei controlli antimafia. Qui non ci sono stati appalti assegnati in modo irregolare, ci sono state vicende che hanno riguardato i subappalti di cui noi non ci dovevamo occupare e vicende che riguardavano i lavori nei padiglioni stranieri, che come è noto sono sottratti alla legislazione italiana». A parte la singolare tesi giuridica sulla incompetenza a indagare su quanto avveniva negli stand esteri, a colpire - anche negli ambienti investigativi - è la parte in cui Cantone dice che in sostanza se la mafia ottiene gli appalti in modo regolare la cosa non lo riguarda.

A chiamare esplicitamente in causa l'Autorità guidata da Cantone era stato Roberto Maroni, presidente della Regione Lombardia, e in questa veste azionista della Fiera: ovvero dell'ente che ha aperto le porte di Expo alle aziende del consorzio Dominus, controllato secondo la Procura da uomini di Cosa Nostra. «Ho chiesto alla Fiera e mi hanno confermato che avevano mandato una richiesta alla Dia (Direzione investigativa antimafia, ndr) con tutte le aziende interessate a questi appalti e avevano avuto via libera. Ha controllato la Dia che queste cose le sa fare bene, ha controllato la Prefettura, ha controllato anche Anac, di più non vedo cosa Fiera avrebbe potuto fare».

Negli ambienti della Procura, quello di Maroni viene definito un «vaneggiamento». In realtà, esiste un documento che dimostra che la Map Carpenterie metalliche, una dei partner del consorzio Dominus, ha operato a Expo sulla base di un certificato antimafia rilasciato dalla Prefettura di Milano. E dai vertici della Fiera arriva la conferma che un elenco delle aziende appaltanti venne inviato oltre che all'Anac anche alla Dia e alla Prefettura, che non ebbero niente da obiettare. Non è chiaro se fu un esplicito via libera o una specie di silenzio-assenso. Ma in entrambi i casi la rete dei controlli sembra avere fatto clamorosamente fiasco.

E una conferma la si ha anche leggendo il provvedimento del giudice Fabio Roia che commissaria Nolostand, la controllata della Fiera colpevole di avere concesso appalti a ripetizione alla Dominus. Il 17 maggio 2014 il nome del consorzio venne effettivamente segnalato a Dia e Prefettura, ma «l'utilizzo di prestanome a capo del consorzio Dominus, di fatto pienamente gestito dagli indagati, nonché delle singole consorziate, ha consentito agli indagati di aggirare sia i controlli istituzionali svolti dalla Dia e dalla Prefettura, che le procedure di internal audit, controlli e verifiche».

Bastano un paio di prestanome per aggirare l'intero sistema dei controlli antimafia.

Commenti