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Mafie in crisi: i capi papabili sono tutti in cella

Cosa nostra decimata dagli arresti non ha candidati. In difficoltà pure camorra e 'ndrangheta

Mafie in crisi: i capi papabili sono tutti in cella

Forse oggi sarebbe il candidato più forte alla successione di Totò Riina. Ma è in carcere. Giovanni Nicchi, della famiglia di Pagliarelli, è forse la figura più carismatica di Cosa nostra. È in cella dal 2009, ma non dà segni di pentimento o cedimento e questo nel momento in cui Cosa nostra è ai minimi storici. Morti o al 41 bis tutti i grandi latitanti, decimate dagli arresti le famiglie, addirittura congelata la Commissione, insomma la Cupola che non si riunisce più dal 15 gennaio 1993, giorno dell'arresto di Riina. C'è in verità un boss in fuga da decenni, Matteo Messina Denaro, in testa alla lista dei grandi ricercati, ma tutti i magistrati che si occupano di Cosa nostra sottolineano che la sua importanza, negli equilibri di potere di Cosa nostra, è relativa. Un conto è la leggenda che lo accompagna, altra cosa è la realtà. Messina Denaro ha sì uno sterminato patrimonio economico, e la cattura di una serie interminabile di prestanome, lo conferma, ma viene dal Trapanese, realtà periferica, e non ha il carisma del grande capo. Come invece Nicchi. Molte dinastie marcano ancora con forza il territorio: per rimanere a Palermo, e senza scomodare i potentissimi Rinzivillo di Gela, si devono per forza nominare nell'atlante di Cosa nostra, la storica famiglia di Brancaccio, dove comandano i Graviano, e quella di Porta Nuova, regno dei Lo Presti. Ma i capi sono tutti al 41 bis.

La morte di Riina fotografa dunque una fase di grande crisi per Cosa nostra e pure per la camorra. I Casalesi, almeno nella declinazione terribile che abbiamo conosciuto, non esistono più, come i Corleonesi. Questo non vuol dire naturalmente che i «soldati» finiti in galera non siano stati sostituiti e che i clan abbiano allentato la presa, ma certo la forza, militare e politica, delle famiglie storiche è diminuita. In Campania c'è, come in Sicilia, un unico grande boss latitante: Marco Di Lauro, pezzo da novanta cresciuto a Scampia, il quartiere reso immortale dalla fiction di Gomorra. E nell'ultimo anno va segnalato almeno l'arresto di quello che è considerato un capo di altissimo livello: Francesco Mallardo. I Mallardo comandano su una zona estesissima, da Giugliano fino al centro di Napoli, e si dedicano a moltissime attività: dalle assicurazioni all'edilizia, fino al turismo. I Mallardo facevano parte della cosiddetta Alleanza di Secondigliano, insieme ai Contini e ai Licciardi. Edoardo Contini è carcere da molto tempo, Maria Licciardi invece è tornata in libertà, anche se viene monitorata dagli investigatori.

Molto più potente in questo periodo è sicuramente la 'ndrangheta. La mafia calabrese ha il controllo delle grandi direttrici del traffico di droga. Secondo Nicola Gratteri, procuratore della repubblica a Catanzaro, il fatturato dell'organizzazione criminale raggiunge i 44 miliardi di euro, pari per capirci a circa il 3% del Pil italiano.

Ma parlare di nomi è un esercizio molto difficile: anche qui si viaggia per clan e famiglie. Come i Pesce e i Bellocco di Rosarno, o i De Stefano a Reggio Calabria. Se proprio si vuole fare un nome, autorevoli analisti indicano il boss Nicolino Grande Aracri, leader della cosca di Cutro che ha ramificazioni molto importanti al Nord, a cominciare dalla pianura fra Parma e Piacenza.

Ma anche Grande Aracri è dietro le sbarre.

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