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Di Maio colleziona le palle di Natale: in dieci giorni si è smentito tre volte

Un vortice di annunci e retromarce su euro, pensioni e alleanze

Di Maio colleziona le palle di Natale: in dieci giorni si è smentito tre volte

Coerentemente con un non-partito dotato di un non-statuto anche il candidato premier M5s ha un non-programma: un giorno sostiene una cosa, il giorno dopo il contrario (a volte lo stesso giorno, verso sera). In una decina di giorni Luigi Di Maio si è autosmentito tre volta, senza calcolare le precedenti autoprecisazioni. Fino agli inizi di dicembre eravamo rimasti al Di Maio che non voleva sentire parlare di alleanze: «Ogni giorno un giornalista si sveglia e sa che deve tirare per la giacchetta il Movimento 5 Stelle. Ma il M5s non fa alleanze con nessuno e non sta pensando a chi aprire o con chi fare intese» redarguiva su Facebook il miracolato della Casaleggio Associati. Salvo poi, l'altro giorno, dire il contrario: «La sera del voto, se non avremo superato il 40%, faremo un appello a tutte le forze politiche per metterci insieme sui temi. Ci saranno programmi per cambiare il Paese e chiederemo a tutti di aderire. Chi risponderà lo incontreremo, gli faremo presente chi sono i nomi dei nostri ministri e del nostro presidente del Consiglio, che sono io. E chiederemo la fiducia andando dal presidente della Repubblica e indicando la squadra». Altri partiti politici, quindi, che votano la fiducia al governo M5s e i loro programmi. Si chiamano «alleati», ma Di Maio non vuole che si usi quel termine.

Altra giravolta, ancora più rapida, sull'euro. Qui il M5s è sempre stato ambiguo, e Di Maio si adegua alla linea ondivaga. Prima dice che «se si dovesse arrivare al referendum, che però io considero una extrema ratio, è chiaro che io voterei per l'uscita». Poi corre ai ripari correggendo il tiro per non allarmare le cancellerie europee, da lui corteggiate con incontri e missioni per accreditarsi come il volto rassicurante del populismo alla Grillo. E quindi ecco che dall'Italexit si passa ad un formula in politichese stretto: «L'obiettivo di governo di M5s non è assolutamente l'uscita dall'euro - si autorettifica Di Maio -, ma rendere la permanenza del nostro Paese nella moneta unica una posizione conveniente per l'Italia. Il Movimento al governo porterà in Europa un pacchetto di proposte». L'altra piroetta di Di Maio è sulle pensioni d'oro, su cui l'ufficio studi del M5s deve avere qualche problema di calcolo. Il vicepresidente della Camera, ospite in radio, ha annunciato che recupererà 12 miliardi di euro dal taglio delle superpensioni. Una cifra rilevante, ma tagliando quali assegni? Le pensioni d'oro valgono al massimo 1,8 miliardi, altro che 12 miliardi, ha spiegato Alberto Brambilla presidente di Itinerari previdenziali. Per recuperare la cifra che dice Di Maio, bisogna scendere di molto, e arrivare a tagliare le pensioni da 2.500 euro al mese, difficilmente classificabili come «pensioni d'oro». Scivolato sull'aritmetica, il pupillo della Casaleggio ha virato sulla polemica: «Noi vogliamo abolire le pensioni d'oro. Ma non bisogna fraintendere tra 5mila euro netti e 5mila euro lordi. Per noi le pensioni d'oro sono quelle da 5mila euro netti in su».

Ma il cambio in corsa, per Di Maio, è una specialità collaudata. Il suo elettorato, del resto, gli perdona tutto. Sugli indagati da sospendere al primo avviso di garanzia aveva fatto una programma, per poi cambiare idea. «Se sei indagato per abuso d'ufficio devi dimetterti» diceva, salvo poi modificare la versione quando per abuso d'ufficio è stata indagata la Raggi, una delle protette dalla ditta: «Le dimissioni? Solo in caso di condanna in primo grado». Poi, in politica estera, altro capitolo dove regna la confusione in casa M5s che è da sempre filo-Russia e vuole l'uscita dell'Italia dalla Nato, Di Maio si è invece riscoperto atlantista e filo-Usa («uno dei nostri principali alleati») durante il suo viaggio per cercare - a dire il vero, invano - sponde autorevoli a Washington.

Ma da quelle parti neppure si sono accorti che aveva cambiato idea.

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