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Di Maio corteggia i salotti e Di Battista le periferie

Vertice a Milano, Grillo dà l'ok a Di Maio per il tour dei poteri forti. Ma «non personalizzare la campagna»

Di Maio corteggia i salotti e Di Battista le periferie

Roma - Dal vaffa ai poteri forti al giro delle sette chiese che contano. C'è anche questo nella trasformazione dell'M5S in partito che ambisce a governare. Luigi Di Maio, il volto più pettinato del MoVimento, si è distinto in particolar modo. Negli ultimi mesi non è mancato a uno solo dei grandi appuntamenti politico-economici che fino a pochi mesi prima venivano bollati dai grillini come santuari del Bilderberg, della Trilateral, della mafia, della massoneria o di qualunque altro «potere forte», più o meno occulto, più o meno mitologico.

Da Washington al Vaticano, da Cernobbio all'Ispi (con Mario Monti!), dagli incontri con Confindustria a quelli con Confesercenti. La strategia è in chiaro, c'è poco da interpretare. Da una parte c'è l'altro alfiere del MoVimento, Alessandro Di Battista, che gira per le periferie in t-shirt e scooterone, per mantenere l'immagine anti sistema che tanti frutti politici ha donato alla creatura di Beppe Grillo. Dall'altra Di Maio in cravatta che s'inchina in chiesa davanti a un arcivescovo per baciare l'ampolla di San Gennaro, vola negli Stati Uniti a incontrare personalità del Dipartimento di Stato Usa, spunta a Cernobbio per intavolare conversazioni con la crema del mondo economico, si presenta nel salotto felpato di Fabio Fazio. E in tutte le occasioni il messaggio è lo stesso: non siamo cattivi, è che ci disegnano così. In campagna elettorale Virginia Raggi aveva minacciato il Vaticano di fargli pagare l'Imu sull'immenso patrimonio immobiliare e, a sindaca già eletta, Grillo aveva sparato che Virginia avrebbe fatto pagare «l'affitto dei Musei vaticani». Poi sono passati i mesi l'argomento Imu benedetta pare sparito dai radar. E non solo: la giunta ha bandito un concorso per assumere in pianta stabile 50 insegnanti di religione per le scuole comunali. Tutto secondo legge, ma il salto dalle minacce alle assunzioni fa impressione.

Stesso copione al Forum Ambrosetti di Cernobbio. A Livorno la giunta grillina ha dato la cittadinanza onorario al «presidente povero» Jose Mujica, ma al consesso degli industriali Di Maio non ha indicato l'Uruguay come modello ma il saldamente conservatore «governo di Mariano Rajoy» in Spagna. Tanto che Ovidio Jacorossi di Fintermica ha definito il leader grillino «un gran moderatone». Anche durante il recente viaggio oltre oceano, Di Maio ha continuato l'incessante lavoro di gomito per smacchiare il MoVimento dall'immagine anti sistema: «Non abbiamo intenzione di isolare l'Italia -ha detto in un'intervista al Washington Post- Non abbiamo intenzione di esaltare i sentimenti nazionalistici. Respingiamo assolutamente la caratterizzazione di movimento populista». «È stato facile, parlando, -ha aggiunto nel resoconto del viaggio pubblicato sul blog di Beppe Grillo- smentire le etichette che ci sono state appiccicate addosso».

La strategia che vede Dibba nelle periferie e Di Maio in tour tra i poteri forti sarebbe stata approvata da Grillo nel vertice di ieri a Milano, in cui il «guru» avrebbe invece disapprovato la sfida tv a Renzi, chiedendo di non personalizzare la campagna elettorale. Dopo il summit, Di Battista è volato a Ostia e poco prima Di Maio aveva incontrato i vertici di Confesercenti Lombardia.

Per Grillo un'uscita di scena show: sdraiato di pancia sul fondo dell'auto del consigliere Stefano Buffagni con i vetri oscurati da tendine parasole.

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