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Di Maio si affloscia. Solo adesso realizza che rischia di bruciarsi

Il grillino fa il bullo: «Noi pronti, gli altri no» Ma incombe l'ombra minacciosa di Fico

Di Maio si affloscia. Solo adesso realizza che rischia di bruciarsi

Roma - Voleva «bruciare» tutti e sedersi a Palazzo Chigi, ma ora teme che l'unico nome «da bruciare» sia il suo. Luigi Di Maio, dal Molise dove è in campagna elettorale per le regionali del 22 aprile, ostenta sicurezza: «Abbiamo bisogno di tempo per vedere le evoluzioni degli altri partiti. Noi siamo pronti, gli altri no». E sul centrodestra che si presenterà compatto alle consultazioni, glissa: «Problemi loro». Però dietro il linguaggio da bullo si nasconde la grande paura. Quella di rimanere stritolato nell'impasse, paralizzato nella palude delle trattative e vittima delle faide interne al Movimento. Il candidato premier grillino prova a mostrare i muscoli: «Il Molise sarà la prima regione d'Italia governata da noi» e, per il momento, chiude la porta a ogni vertice informale. Perché, ripete ancora in un video dalla piccola regione: «Sono le altre forze politiche ad avere bisogno di tempo, noi proponiamo un contratto di governo a un solo partito, perché non vogliamo le ammucchiate». Di fatto è un ritiro sull'Aventino. I timori del cerchio magico sono soprattutto due. Il primo riguarda il messaggio, la comunicazione che il M5s e Di Maio vogliono dare di loro stessi: «Non dobbiamo perdere la faccia parlando troppo di accordi e trattative». L'altro è tutto interno: «La figura di Luigi, tra gli attivisti e gli elettori, rischia di indebolirsi nello stallo romano». E sullo sfondo si staglia l'alter ego Roberto Fico. Sempre più istituzionale nelle vesti di presidente della Camera, tanto che si è tenuto fuori anche da Sum02, la kermesse di Davide Casaleggio. Assente in quanto «figura terza e di garanzia».

L'episodio di Ivrea, la cacciata del cronista della Stampa Iacoboni, è una decisione solitaria di Davide Casaleggio che però - secondo più di qualcuno nel M5s - potrebbe danneggiare l'ascesa politica di Di Maio «proprio in un momento così delicato». E non è un caso che ieri mattina, dagli schermi di La7 a L'Aria che Tira, sia stato il braccio destro Riccardo Fraccaro a porre il distinguo: «L'associazione Casaleggio è privata, non è il Movimento Cinque Stelle». A riprova dell'imbarazzo c'è il silenzio del capo politico sull'episodio. Con Casaleggio «costretto» a prendersi tutta la colpa.

Nel caos, a Di Maio restano poche alternative per «non bruciarsi». La strada preferita, che riscuote anche il maggiore consenso nella «base», è quella di un patto con una Lega disposta a mettere alla porta Silvio Berlusconi. Cosa difficile, ma lo stato maggiore pentastellato spera «nel logoramento del Cavaliere» dopo le regionali. In questo caso però sarebbe molto complicato portare Di Maio a Palazzo Chigi. L'altra opzione è il Partito democratico. Una soluzione che provocherebbe un vero trauma negli attivisti, seppure assicurando la compattezza dei gruppi parlamentari. Qualche militante sui social scrive: «Non alleatevi col Pd perché hanno rovinato l'Italia, non vogliamo né Berlusconi né Renzi». E sono molti i commenti simili sulla pagina Facebook del leader M5s. L'ultima carta è un governo a tempo, incaricato di riscrivere la legge elettorale e mettere mano al Def. Di Maio, forte dell'imminente deroga al vincolo dei due mandati, si ripresenterebbe alle elezioni con buone chances di aumentare le percentuali rispetto al 4 marzo. L'«esecutivo di scopo» non dispiace al candidato premier pentastellato che, dopo le telefonate e gli assist a Lega e Pd, nelle ultime ore ha ripreso a usare i toni tipici della campagna elettorale.

«No alle ammucchiate» è il mantra, ma la situazione è imprevedibile e il Movimento è volubile.

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