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La malattia non ferma l'odio di "Repubblica"

Merlo fa a pezzi l'era Berlusconi: "Solo macerie". Brunetta: «Rancore invidioso»

La malattia non ferma l'odio di "Repubblica"

Roma «Di quel ventennio già adesso non rimane niente se non qualche pozzo avvelenato, macerie, un trono già vuoto che nessuno potrà mai occupare, un letto d'ospedale». Francesco Merlo, editorialista principe di Repubblica, ha cercato di sottrarsi al consunto messale dell'antiberlusconismo militante, ma alla fine la coazione a ripetere ha prevalso. Il misconoscimento del ruolo di Silvio Berlusconi ha reso insinceri gli auguri al «vecchio irripetibile nemico» e la citazione dello Zarathustra di Nietzsche (per il Cav, ovviamente, si può solo scomodare un filosofo «destro») che premia «il folgorante destino di chi tramonta».

Parole talmente pesanti da indignare il capogruppo di Forza Italia alla Camera, Renato Brunetta, che in una lettera a Dagospia ha stigmatizzato «il rancore invidioso» che «non trova il coraggio della onesta maledizione, dell'augurio iroso di una cattiva morte». Maurizio Gasparri, vicepresidente del Senato, ha promesso che in Vigilanza Rai affronterà il tema dell'editorialista consulente ben pagato di Viale Mazzini per l'informazione giornalistica che «continua a scrivere articoli astiosi sulla stampa». E la stessa tv di Stato ne aveva preso le distanze già da qualche giorno dopo un analogo «incidente» nei confronti dei pentastellati.

Eppure Merlo aveva provato a rendere l'onore delle armi al Cav. «Per oggi, solo per oggi, è tenerezza nazionale. Tutti sappiamo infatti che mai ci sarà un Berlusconi dopo Berlusconi, che nulla di politico è stato ricoverato insieme a lui». Aveva provato a rovesciare la prospettiva conformista che vorrebbe associato al presidente di Forza Italia un giudizio etico, negativo, un connotato morale da riprovare, un nemico da odiare. O, per dirla come Ezio Mauro dieci anni fa, un «Sovversivo», con la s maiuscola, perché «l'anomalia berlusconiana» ha causato «l'indebolimento della qualità della nostra democrazia».

È lecito perfino pensare che la possibilità di perdere Berlusconi, l'antagonista numero uno, faccia molta paura da quelle parti, un male da esorcizzare perché il Cavaliere porterebbe via con sé anche l'anima dei propri avversari che nella sua presenza hanno l'unica ragion d'essere. Lo si capisce dall'editoriale di Merlo, ma anche da quello più pacificato e meno immaginifico di Pierluigi Battista sul Corriere. Entrambi, infatti, restano intrappolati nella contrapposizione tra anima e corpo. Se il primo ne ricorda la vitalistica fisicità dell'«estetica da Sanbittèr», il secondo elenca l'incidente sul palco di Montecatini nel 2006, l'aggressione in Piazza Duomo del 2009 fino allo sfregio dell'installazione che lo ritraeva irrispettosamente cadavere.

In questa filosofia di seconda mano il Cav è sempre corpo foucaltiano, dominio, potere, sovranità, sopraffazione. La politica, pensata in maniera conformista, è invece eterea, è «anima». De Gasperi e Berlinguer non avevano corpo. Eppure nessuno meglio di Berlusconi ha fatto della libertà una religione.

Anche se tanti, a partire da Merlo, fanno finta di non saperlo.

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