Cronache

"Mamma vuole che tu vada". Gli ultimi istanti di Dj Fabo

Le lacrime in aula per le parole della donna e della fidanzata: "Mi diceva che per lui era una vittoria"

"Mamma vuole che tu vada". Gli ultimi istanti di Dj Fabo

Milano - «Vai, Fabiano. La mamma vuole che tu vada»: così finisce la vita di Dj Fabo. E così finisce, ieri, una mattinata di udienza che è un pugno nello stomaco. Mamma Carmen ripercorre gli ultimi mesi di Fabiano Antoniani. Fino alla frase che libera il figlio dalla sofferenza. E che dà il via al gesto di mordere il pulsante per la somministrazione del farmaco letale.

Al processo contro Marco Cappato, imputato di aiuto al suicidio per aver accompagnato il dj 40enne a morire nella clinica svizzera Dignitas, prima di Carmen Carollo parla Valeria, la fidanzata di Fabo. «Gli dicevo: Non riesco a vincere il match con la Signora Morte - ricorda la giovane donna, campionessa di pugilato a livello internazionale - E lui: Non devi sentirti sconfitta, questa per me è una vittoria». L'aula della Corte d'assise è strapiena. Pochi occhi rimangono asciutti.

Il pm Tiziana Siciliano, che sostiene l'accusa con la collega Sara Arduini, chiede a Valeria della vita con Fabo prima dell'incidente d'auto che il 12 giugno 2014 l'ha reso tetraplegico e cieco. Le passioni, gli amici, il progetto di andare a vivere in India. Poi la tragedia: «Dopo una serata in un locale - continua Valeria - Fabiano è rientrato in auto alla casa sul lago. Era tardi ed era stanco, ho provato a convincerlo a cambiare idea. La mia ultima chiamata è delle 2.05, alle 2.07 la sua macchina è uscita di strada e si è ribaltata». Al risveglio dal coma, oltre alla lesione vertebrale si scopre la cecità totale. Per la fidanzata, Fabo «non avrebbe mai voluto vivere da cieco. Lo considerava peggio dell'essere paralizzato». La ragazza cerca una cura e una speranza in giro per il mondo. «Gli avevo promesso che l'avrei riportato il più vicino possibile alla sua vita di prima».

Anche Fabo tiene duro, all'inizio. «Gli amici ci hanno aiutato con i soldi - dice ancora Valeria - e siamo andati in India per una terapia con le staminali». I primi effetti sono insperati, l'uomo riesce persino a stringerle la mano. Ma svaniscono poco dopo. I dolori a gambe e braccia invece restano: «Intensi, come crampi costanti. Fabiano ci chiedeva fino a tre volte la dose di farmaci prescritta per calmarli». Quando Valeria si sente dire dal fidanzato che le deve parlare di una cosa importante, non è stupita. E non si stupirà della volontà di rendere pubblica la battaglia per la libera scelta. «Che vita è questa? - le chiede lui - Per me non ha più senso». Da qui i contatti con la Dignitas, l'Associazione Coscioni e Cappato. Quest'ultimo espone le diverse opzioni, spiega che la legge italiana permette solo di interrompere le cure. Il 40enne però respirava in parziale autonomia e se l'avessero staccato dalle macchine che lo aiutavano, sarebbe morto soffocato dopo un'agonia di molti giorni. «Speriamo che il processo serva ad avere una legge sul biotestamento», dichiara la madre.

«Era determinato - continua Valeria - Ha scelto un giorno per andarsene: il 27 febbraio scorso. Dopo aver festeggiato alla grande i suoi 40 anni. Se ero combattuta? Certo. Ma non l'avrei amato davvero, se non fossi rimasta al suo fianco. Quando intuiva che io e sua madre prendevamo tempo, si metteva in sciopero della fame e della parola». La mamma, in lacrime: «Fabiano me l'ha detto fin dall'inizio che voleva morire». In viaggio Cappato guida l'auto. Il 26 febbraio la clinica organizza una terribile «prova generale» per testare la procedura. Fino all'ultimo Valeria, Carmen e Cappato ripetono a Fabo che se ha cambiato idea, possono tornare indietro.

«Ma lui non aveva paura di morire - aggiunge la mamma - Aveva paura della sofferenza».

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