Politica

Il manager dei salotti buoni campione di gaffe in politica

Dai vertici di Pirelli e Tim, Sala passa con la Moratti Poi svolta a sinistra, fra case «omesse» e altri imbarazzi

Il manager dei salotti buoni campione di gaffe in politica

E adesso? «Adesso fate come se fossi all'estero per un po'. Valuterò se la mia presenza è ancora un bene o un danno per la città». Sono state queste a botta un po' meno calda, nella notte, le parole di un sindaco incerto se continuare a esserlo. Eppure per i sei mesi dell'Expo Giuseppe Sala, ormai passato alle cronache mondane come Beppe, è stato uno degli uomini più in vista del Paese. Ma non solo. Padrone di casa e gran cerimoniere di quel mega evento anche mediatico che ha portato a Milano i turisti e soprattutto i giornalisti di tutto il mondo, ha macinato chilometri tra cardo e decumano per ricevere capi di Stato e ministri dalle provenienze e dalle fogge più diverse, ricavandone in cambio le copertine dei magazine più prestigiosi. Quelli che hanno fatto della città il place to be dell'anno 2015, il luogo dove bisognava assolutamente essere. Sembrano frivolezze e invece si tratta di soldoni, come dimostrano a più di un anno di distanza dalla chiusura dei cancelli, i conti degli alberghi e soprattutto l'indotto economico che sta facendo ancora brillare l'occhio ai milanesi.

Uomo di successo Sala, prima come manager privato dei Pneumatici Pirelli di cui arriva a essere vice presidente e nella telefonia Tim, ma ancor di più in quella seconda vita da civil servant in cui ha deciso di reincarnarsi dopo la chiamata dell'allora sindaco Letizia Moratti che lo volle direttore generale del Comune. Un marchio del centrodestra più profondamente berlusconiano che forse avrebbe potuto bollare qualcun altro, ma non lui uomo abilissimo nelle relazioni. Industriali, ma anche politiche. Tanto che la seconda parte della sua seconda vita, lo vede sbarcare sulla sponda opposta. Quella sinistra, sulla quale dopo averlo lasciato a lungo al suo destino (perché nell'Expo da quelle parti erano in pochi a crederci) l'ha colto l'allora premier Matteo Renzi sicuro di poter trasformare le lunghe code dei padiglioni Expo in voti. E nulla importò allo spregiudicato putto fiorentino (ma nemmeno alla sinistra più radicale) che per formazione e dna anche professionale Sala fosse uomo assolutamente di destra. Di fronte a un palazzo da conquistare, si sa che anche i compagni hanno la bocca piuttosto buona. Primun vincere (e occupare potere e poltrone), poi casomai se ne parla. Magari al momento di spartire. «Questo sindaco di Milano ci resta dieci anni. Sala ha contatti con tutti, parla con tutti dai banchieri, agli industriali, agli ambasciatori. Non è mica Pisapia», ragionava sconsolato un colonnello del centrodestra all'indomani della sconfitta di Stefano Parisi, un altro bel cavallo di razza schierato nella corsa a sindaco. Uno che oggi ha davvero motivo di lamentarsi, perché se i magistrati si fossero mossi a Pasqua invece che a Natale, sulla poltrona di sindaco ci sarebbe proprio lui. Ma il patto di Renzi con la magistratura resse. E la cosa andò diversamente.

Non che Sala non stia piacendo. Anzi, Milano tradizionalmente città di centrodestra era proprio il posto migliore per accogliere il suo spirito manageriale così ambrosiano. Più difficile è capire come facciano a sopportare le sue grisaglie alcuni assessori più abituati a frequentare (e non c'è nulla di male) i centri sociali più che i consigli di amministrazione. E magari a sopportare alcune sue le imperdibili gaffe, come l'essersi fatto sistemare la villa al mare dall'archistar a cui aveva appena commissionato un mega appalto per i padiglioni Expo, aver dimenticato di denunciare le attività in Romania o la villa top sulle esclusive nevi svizzere di Pontresina.

Dove magari passerà questa «vacanza» a decidere se sentirsi «ancora un bene» per Milano.

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