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Un manager non basta. A Roma serve un genio

Amministrare Roma richiede qualità straordinarie e genio, manager moderni affiancati da persone con una fantasia sfrenata

Un manager non basta. A Roma serve un genio

Un sindaco manager per Roma e per Milano come propone Silvio Berlusconi? Certo, i manager ci vogliono e finora non si sono visti. Quanto alla figura umana del sindaco, occorrerebbe qualcuno capace prima di tutto di sentire Roma fisicamente, torbidamente. Qualcuno che non cada nel tombino delle banalità che stanno ammazzando la città, insieme alle buche e all'indolenza dei pubblici ufficiali di sportello. Ben vengano dunque i manager in grado di amministrare, far di conto, trovare soluzioni ai problemi senza aggiungerne di nuovi. Ma non basta. È ovvio che tutto il patrimonio artistico di Roma è stato gestito con i piedi e richiederebbe ben altra fantasia che la chiusura dei Fori imperiali. È ovvio che occorre una politica del turismo di livello nazionale e internazionale, cosa che richiede temerarietà perché il conservatorismo archeologico (guai a chi rimette in piedi una colonna caduta) è una malattia culturale della sinistra italiana che la destra non è stata però in grado neanche di vedere.

Roma affoga nella burocrazia ordinaria e nell'affastellamento delle pratiche, fino all'intesa occulta delle confraternite, delle consorterie, delle correnti, degli interessi di casta, della mungitura di ogni pubblico capezzolo. L'intrico sordido di Mafia capitale sta per andare a processo e aspettiamo di vedere. Il sindaco Marino, però, si vanta di aver combattuto contro oscuri interessi anche all'interno dei democratici e anzi parla di mafia. Costretto a dimettersi, promette rivelazioni sul suo partito, cosa che ci incuriosisce come ci incuriosisce il fatto che il Pd gli consigli di stare calmo, per il bene suo. Ora, Marino ha un carattere fragile, un ego spropositato e altri difetti, ma ha avuto certamente fegato dichiarando alla Stampa che, se non si fosse dimesso, i suoi gli avrebbero infilato la cocaina in tasca.

Intanto l'immagine di una città mostruosamente bella finisce in ricotta, come diceva Pasolini. Questa rovina va fermata. Non si tratta soltanto del malaffare di una banda: il malaffare prospera dove sgorgano i soldi, manca il controllo, ci sono politici corrotti e anche un branco di persone stupide.

Io sono cresciuto e vissuto in questa città, salvo parentesi americane. E proprio come visitatore dell'America sono uno dei milioni di innamorati di New York. Cito questa banale esperienza personale per dire che è possibile amare una città che non è la tua. Dunque porte aperte a chiunque e da ovunque, purché capisca che cosa ha per le mani. È vero, Roma ha bisogno dei manager tanto quanto di una rivoluzione della politica culturale che non sia soltanto quella dei musei. Mio padre, professore universitario di pubblici trasporti, fu direttore dell'Atac per quasi vent'anni con pugno di ferro e un largo sorriso. Era manager in un'epoca - anni Cinquanta e Sessanta - in cui la città funzionava malgrado il conflitto di interessi fra archeologia e vita dei cittadini. Era molto più grigia ma rispettosa delle regole. Il primo sindaco che capì Roma fu Ernesto Nathan, nato a Londra e cresciuto nella lingua inglese, amico di Mazzini e patriota (volontario alla Grande guerra all'età di settant'anni, il più anziano tenente italiano). Capì la città che governò fino al 1911 e diventò leggendario sia come manager di altissimo profilo culturale sia come patriota.

La Roma conquistata dall'esercito piemontese a Porta Pia aveva meno abitanti di Perugia e subito il nuovo ruolo di Capitale la sottopose a una chirurgia non sempre estetica, comunque senza anestesia: scavi dissennati, poca edilizia virtuosa e molta senza scrupoli. Il sacco di Roma, anche se non fu soltanto un saccheggio e uno spreco. Ormai quasi a nessuno interessa ricordare le traumatiche metamorfosi di Roma man mano che passava dalle cure papali a quelle piemontesi, poi alle esigenze sceniche e imperiali del fascismo che spianava i borghi con le ruspe ma costruiva l'Eur, fino alla Roma della guerra e del sangue, poi quella democristiana, palazzinara, intensiva e sempre più cafona per la continua trasfusione di persone e quartieri senza né capo né coda.

Da allora abbiamo tutti vissuto con un guscio di lamiera addosso, intasati, frustrati, pazienti come prigionieri politici di due corpi diplomatici (uno presso lo Stato italiano e uno presso il Vaticano), i comandi generali di tutte le nostre polizie nazionali più i vigili urbani. I mezzi pubblici sono spiaggiati come balene morte a causa delle migliaia di bus turistici per i quali e contro i quali non è stata fatta mai alcuna politica. E adesso ci attende il Giubileo.

Amministrare Roma richiede qualità straordinarie e genio, manager moderni affiancati da persone con una fantasia sfrenata. Riuscirà questa città dolorosamente eterna a realizzare il sogno che appartiene a tutti?

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