Cronache

Marò chiusi in un castello di carte

L'assurda accusa di mancare di parola, quando Latorre e Girone furono rimandati a Nuova Delhi. Verdetto del tribunale del Mare il prossimo 24 agosto

Marò chiusi in un castello di carte

«L'India ha costruito un castello di carte» conto l'Italia denuncia senza mezzi termini Sir Daniel Bethlehem, il legale di punta per i marò davanti al Tribunale del mare di Amburgo. La seconda giornata di udienza per strappare a Delhi la giurisdizione sul caso e riportare Salvatore Girone a casa o in un Paese terzo è iniziata ieri alle 10. Le cannonate verbali sparate da ambo le parti si sommano alla tattica indiana di ribaltare addosso all'Italia tutte le nostre mosse compiute negli ultimi tre anni e mezzo per incompetenza, pavidità o buonismo.

Il francese Alain Pellet, a nome dell'India, ci ha rinfacciato di aver pagato le famiglie dei pescatori morti in mare riconoscendo, di fatto, le colpe dei marò. L'ambasciatore Francesco Azzarello, in conclusione dell'esposizione italiana, ha bollato come «deplorevole che l'India sfrutti» l'aiuto alle famiglie di Valentine Jalestine e Ajeesh Pink «con l'unico scopo di creare un pregiudizio contro l'Italia davanti a questo Tribunale».

Il nostro Paese è stato accusato di essere «inaffidabile» e di «non rispettare la parola data» sulla vicenda del 2013 quando sembrava che i marò non dovessero rientrare a Delhi dopo un permesso. E sarebbe stato meglio così, ma il calabraghismo del premier di allora, Mario Monti, ha rimandato Latorre e Girone in India a continuare il calvario giudiziario. Sempre Azzarello ha risposto che sono «accuse inaccettabili».

E ancora gli esperti degli indiani ci hanno crocifisso per non aver fatto testimoniare a Delhi i 4 marò, che assieme a Massimiliano Latorre e Girone difendevano la nave italiana Enrica Lexie dalla minaccia dei pirati. Ieri mattina Sir Bethlehem ha ricordato che eravamo disponibili a farli deporre in videoconferenza, come è previsto dai regolamenti indiani. Per non parlare di come gli indiani hanno ribaltato la frittata accusando Roma dei tre anni e mezzo di odissea giudiziaria senza incriminazione e processo.

In pratica tutte le volte che l'Italia si è piegata all'India o ha cercato un compromesso e seguito la via giudiziaria locale sono servite solo a riprenderci ulteriori sberle nell'aula di Amburgo. Ben tre governi avevano ripetuto all'infinito che era l'unica strada possibile.

Le accuse indiane «sono ben lontane dalla realtà, ma piuttosto assomigliano ad una fiction» ha dichiarato alla corte Sir Bethlehem. Secondo il legale l'India «fa un gioco sbagliato e pericoloso». E finalmente si è entrati nel merito delle accuse di omicidio ai fucilieri di Marina. Il baronetto non ha dubbi: «I marò contestano l'accusa di aver sparato ai pescatori. Non è nemmeno accertato che gli spari letali siano partiti dalla Enrica Lexie. È certo che i marines hanno sparato colpi di avvertimento in acqua contro quello che temevano fosse un attacco pirata». Documenti alla mano ha dimostrato che nel fatidico 15 febbraio 2012, sempre nell'area di Kochi, poche ore dopo, era stato respinto un altro attacco pirata.

Alle 16.30 di ieri pomeriggio hanno ripreso la parola gli indiani per sparare le ultime cartucce. E rinfacciarci gli errori. L'Italia «non può appellarsi alla Corte (in India) e poi dire che non riconosce la giurisdizione» ha sottolineato l'inglese Rodman R. Bundy. Il pezzo da novanta francese, Pellet, ha contestato pure la richiesta di arbitrato internazionale. Poi è passato ai marò. «Se Salvatore Girone venisse autorizzato a rientrare in Italia, ci sono forti possibilità che non tornerebbe in India per farsi processare, nemmeno se l'arbitrato internazionale dovesse decidere che la giurisdizione sul caso dei marò è indiana» ha sostenuto il legale. Ad un certo punto ha addirittura dichiarato che «l'Italia si è scavata la fossa da sola ancora più profonda» in questi due giorni di muro contro muro. Per poi ricordare che i marò «sono stati solo 43 giorni in carcere e Latorre è da mesi a casa». L'India continua a volerli processare e a non mollare Girone o lasciare che Latorre resti in patria a curarsi anche dopo il permesso che scade in gennaio.

«Non ci resta che restare uniti e con le dita incrociate affinchè si possa avere una giusta sentenza e rivedere finalmente in Italia Salvatore» ha scritto Latorre su Facebook.

Il presidente del Tribunale, il russo Vladimir Golitsyn, ha chiuso il dibattimento annunciando che il verdetto «sarà pronunciato il 24 agosto».

Dopo tre anni e mezzo di odissea giudiziaria una prima certezza, in tempi brevi, sul destino dei marò.

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