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«Una marcia dei 100mila per dire sì alle grandi opere»

Il presidente degli industriali di Torino: con noi abbiamo anche i sindacati, spero che la Lega mantenga le promesse

«Una marcia dei 100mila per dire sì alle grandi opere»

Dario Gallina, presidente degli industriali di Torino, è da poco uscito dal Consiglio comunale. Nella veste del manifestante, atipica per un imprenditore, ha dato le ragioni del «sì» alla Tav. Con lui c'erano sindacalisti, commercianti, artigiani: rappresentanti di categorie produttive compatti. Un consigliere grillino gli ha chiesto se pensava di organizzare un'altra «marcia dei 40mila»: «Ve ne porteremo 100mila», è stata la risposta.

Presidente, che clima ha trovato nella maggioranza?

«Argomentazioni ideologiche, frasi fatte, false utopie. Come se non avessero voglia di capire e valutare veramente i problemi. I Cinque stelle si arroccano su ideologie strampalate, disegnano un mondo fantasioso senza crescita. Non è che se togli risorse europee dall'alta velocità ferroviaria le rimetti automaticamente altrove. Questo populismo ambientalista ha un modo di intendere l'economia che non porta da nessuna parte».

Ha colto qualche spiraglio?

«Noi siamo sempre fiduciosi, dobbiamo esserlo. Ma qui si discute già da troppo tempo e mi sembra non ci siano orecchie per sentire. Faccio appello alla statura politica del governo per decisioni che non riguardano appena una città o una prospettiva di qualche anno: le grandi opere interessano l'intero Paese con una visione per i prossimi 30 anni».

Avete provato una mediazione?

«Abbiamo chiesto di rinviare il voto sulla mozione anti Tav: la risposta è stata no. Il sindaco Chiara Appendino non c'era e il suo vice è un noto no-Tav. Così non va bene».

Anche i sindacati sono dalla vostra parte.

«Ma è chiaro. Perdere la Tav significa perdere cantieri, posti di lavoro, un futuro. Questa opera genera 3,77 euro di indotto per ogni euro investito. Queste due grandi opere infrastrutturali non vanno fermate».

Oltre alla Tav lei parla del tunnel tra Piemonte e Liguria.

«Torino è al centro di due grandi corridoi commerciali, non possiamo perdere questa occasione di sviluppo. È come avere una casa fronte strada o in un paesino disperso: questa avrà un valore dimezzato. Già oggi le multinazionali che operano in Italia pagano un 10 per cento in più per l'arretratezza logistica. La galleria attuale con la Francia è del 1870 ed è piccola, stretta, poco sicura. La Tav è una necessità».

Davvero porterete la gente in piazza?

«Vogliamo tenere un profilo alto. Se ci sarà bisogno, marceremo. Siamo tanti: una petizione online a favore della Tav in poche ore ha raccolto 15mila firme. Ma il tema delle grandi opere è legato soprattutto alle strategie di crescita del Paese, alla nostra competitività, al lavoro. Si può ridiscutere qualche opera accessoria, ma non bloccare quello che è già stato avviato».

Quando era stata eletta, la sindaca Appendino aveva riscosso aperture di credito. E ora?

«Vedo una enorme debolezza sulle scelte strategiche e le grandi chiamate. Hanno detto no al G7, alle Olimpiadi e ora alla Tav. Per loro Torino è qualche pista ciclabile in più, una città salotto senza fabbriche e senza economia. Appendino è ostaggio della sua maggioranza, di un localismo privo di una visione sul futuro».

Del governo ha fiducia?

«Leggendo la bozza della legge di Stabilità non trovo dove si parli di crescita, di politica industriale, di aiuto al lavoro, ma soltanto di assistenzialismo. Spero che almeno la Lega tenga fede alle proprie idee e difenda la Tav come un'opera strategica per l'Italia».

Pare che la Lega abbia barattato la Tav con la Tap.

«Noi non vogliamo diventare merce di scambio per gli equilibri di governo. Non siamo le vittime sacrificali.

Il no alla Tav sarebbe una figuraccia per l'Italia, la nostra credibilità internazionale precipiterebbe definitivamente».

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