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Marino, sfilano i primi testimoni. E il Pd vuol cacciare pure Orfini

Il sindaco non molla e nomina il nuovo cda dell'Auditorium mentre l'indagine sugli scontrini prosegue. Ora il commissario dem è in bilico

Marino, sfilano i primi testimoni. E il Pd vuol cacciare pure Orfini

Un fantasma a Roma. Non uno di quelli antichi, pesanti, che magari si lamenta trascinando le proprie catene, piuttosto lo spettro di un marziano, uno spirito briccone e indisponente, cialtrone e dispettoso. Sarebbe pure divertente se la città eterna non fosse a un passo da una caduta all'inferno. Il fantasma si chiama Ignazio Marino. E non si è ancora capito cosa farà domani e dopodomani e nei prossimi mesi. Si è dimesso ma ci sta ripensando. È un ex che non molla la poltrona e intanto si vendica dei torti subiti dal suo partito e paga i debiti elettorali.

Il primo cittadino a tempo scaduto ieri ha pensato bene di nominare il nuovo consiglio di amministrazione dell'Auditorium. Come prima mossa fa vedere che taglia: si passa da cinque a tre. Ecco i nomi. Aurelio Regina presidente, José Ramòn Dosa Noriega (amministratore delegato) e (soprattutto) Azzurra Caltagirone. «Sono certo delle loro capacità e anche del senso innovativo che questi nomi vogliono sottolineare». L'idea è di farlo passare come un atto dovuto, resta comunque lo straniamento per l'attivismo amministrativo e politico di un sindaco dimissionario. Se qualcuno pensa a un Marino con le valigie pronte, si rassegni. La sensazione è che serviranno i vigili urbani per staccarlo dalla poltrona del Campidoglio.

Il problema per Renzi, Orfini e compagnia dolente del Pd adesso è: che fare? Al Nazareno si valuta di chiedere ai 19 consiglieri Pd le dimissioni in massa. Una misura estrema, se il sindaco perseverasse nel braccio di ferro col Pd. Più remota, invece, l'ipotesi di ricorrere allo strumento della sfiducia perché, essendo votata a scrutinio segreto, potrebbe riservare sorprese a dare spazio ad ammutinamenti. Un partito di maggioranza che caccia il sindaco non è mai una bella figura ed è quello che soprattutto Orfini, presidente del partito e commissario a Roma ha cercato in tutti i modi di evitare. Ma il suo ruolo è a rischio conferma, la fronda della minoranza Pd vuole cacciare pure lui. Marino, da parte sua, spera ancora di ripresentarsi alle elezioni di primavera con una lista civica, utile soprattutto a togliere consenso al Pd. Il sindaco marziano però, al momento, è sempre più solo. La fedelissima Alessandra Cattoi ieri ha provato un'ultima difesa d'ufficio: «È giusto che Marino valuti se andare avanti. La crisi è soprattutto politica». A zittirla ha provveduto Stefano Esposito, assessore dimissionario ai trasporti, attribuendole «una parte rilevante» degli errori di Ignazio, e invitando il sindaco a farla finita senza tante storie.

Politica o meno, gli scontrini sono l'ultima macchia d'olio sulla quale Marino è scivolato. La Guardia di finanza ha finito di valutare i documenti acquisiti il 13 ottobre. Ora sfilano i testimoni in procura. Marino, nella sua deposizione spontanea, ha scaricato tutte le responsabilità del pasticciaccio sulla sua segreteria. Avrebbero firmato i giustificativi per lui, insomma, «a sua insaputa». Il bello adesso è vedere cosa diranno gli sventurati, chiamati a fare da capri espiatori. Tra i testimoni potrebbe esserci anche la collaboratrice che assomiglia alla moglie di Marino. Era la cena alla Taverna degli amici, 27 luglio 2013.

Manca l'ultima parola della procura. Marino è indagato oppure no?

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