Politica

Matrimonio con la badante sventato dalla polizia

Bloccate le nozze fra un 78enne italiano e la 46enne araba che lo aveva abbindolato

Luca Fazzo

Milano «Matrimoni per amore, matrimoni per forza - ne ho visti d'ogni tipo, di gente d'ogni sorta». Se cantasse oggi, Fabrizio De Andrè dovrebbe mettere in catalogo anche il matrimonio sventato in extremis lunedì mattina a Milano dagli agenti del commissariato Centro. Matrimonio di un genere oggi non raro, che di solito preti e sindaci si rassegnano a celebrare senza fare troppe storie: lui vecchio, italiano, titolare di casa e di pensione; lei giovane, straniera, decisa a sistemarsi. E ci sono anche casi in cui l'aspirazione è legittima, dopo anni passati ad accudire in ogni modo un uomo abbandonato dalla famiglia. Ma ci sono anche casi in cui l'affare incespica, perché saltano fuori all'improvviso i parenti dell'uomo, che alla prospettiva di perdere l'eredità riscoprono il loro amore per il congiunto. O perché lo stato di lucidità dell'uomo appare così malfermo da suscitare il sospetto anche del più distratto dei travet comunali.

Proprio questo è quanto accade stavolta, quando il sciur Paolo, milanesone di Baggio, classe 1938, viene portato all'altare - portato letteralmente, nel senso di preso di peso e caricato in macchina - dalla signora che da qualche anno si occupa di lui. Lei è nata in Marocco, e ha quarantasei anni: poco più della metà di lui. A maggio scorso, si presentano in Comune, negli uffici di via Larga, per fare le pubblicazioni e prenotare la sala per la cerimonia. E già quella mattina, l'impiegato dello Stato civile, che pure di matrimoni d'ogni sorta ne vede in continuazione, sente puzza di bruciato. Lei è giovane, e lui no: e fin qui passi. Ma lei è sveglia, lucida: lui no, tutt'altro. E questo è un problema. Sul momento l'impiegato non può bloccare la pratica, ma infila nei fascicolo un post it per preallertare i colleghi che dovranno occuparsi della cerimonia. Occhi aperti, scrive.

Così l'altro ieri, quando Paolo e la sua aspirante moglie si presentano a Palazzo Reale - dove, nella sala degli Specchi, si celebrano i matrimoni laici - i funzionari del Comune sono già sul chi vive. Non c' è traccia di invitati. Ci sono i due futuri coniugi, vestiti come se andassero a fare la spesa. Ci sono i due testimoni, che guarda caso sono il fratello e la cognata di lei. Lui, il Paolo, è monco di un braccio, piegato in due dall'artrite, si guarda intorno un po' spaesato. Invece di avviare il nastro con la marcia nuziale, gli impiegati chiamano il 112.

Dal commissariato, che è lì dietro, arriva la pattuglia: «Fermi tutti». Visibile delusione sul volto di lei, l'aspirante consorte, che si sentiva già con la fede al dito. Il capoequipaggio li separa e li interroga. E si accorge subito che lo scorrere degli anni ha segnato in profondità il povero Paolo, al punto che nemmeno si rende conto di dove si trova. «Io voglio tornare a casa subito», «cos' è questo posto, non è casa mia», eccetera. Ma poi, in un sussulto che spicca come una perla nel verbale di polizia, quando gli chiedono se davvero vuole sposare la badante ribatte secco: «Sposarmi? Io non ho mai voluto sposarmi in ottantadue anni, si figuri se mi voglio sposare adesso».

Ma è un attimo, poi si torna a adagiare nel suo mondo. L'altra, la signora placcata sul più bello, insiste che no, che si vogliono bene, che erano d'accordo di sposarsi sul serio. I poliziotti non la bevono. Così il matrimonio finisce nel modo più triste: lei denunciata a piede libero per circonvenzione di incapace, lui portato al Fatebenefratelli per capire se e quanto sia in grado di badare a se stesso. Se i medici decideranno che può farcela, lo rimanderanno a casa.

E lì, se era amore vero, ritroverà lei ad aspettarlo, anche senza la fede al dito.

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