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Mattarella è "preoccupato" Ma il governo ora è più solido

Il Colle teme il caos e invita a riprovarci con la riforma Solo il Pd può decidere se staccare la spina a Gentiloni

Mattarella  è "preoccupato" Ma il governo ora è più solido

Sfuma il tedesco, e sfumano anche le elezioni anticipate. Sul primo, nel Pd, non piange nessuno: «Non era la nostra legge, dal nostro punto di vista abbiamo solo da guadagnare con il Consultellum», spiegano i renziani, per i quali la questione legge elettorale è chiusa: «Si voterà con quello che c'è dopo le sentenze della Consulta».

Ma il corollario del «patto a quattro» sul tedesco, che alla prima curva si è schiantato contro un muro, era il voto anticipato al 24 settembre. E su quello, al Nazareno, si piange.

Anche perché è vero che dopo il voto di ieri il Parlamento sembra un formicaio impazzito, incapace ormai di produrre alcun accordo sulle regole elettorali. Ma è vero anche che la maggioranza attorno al governo Gentiloni da ieri è diventata più salda che mai, con i centristi di Alfano e gli scissionisti di Bersani «attaccati come cozze al governo», secondo la colorita immagine di un esponente di opposizione. Se in casa Pd alcuni renziani non nascondono di sperare nell'incidente parlamentare per accelerare il voto, i più avveduti scuotono la testa: «Pur di non andare alle elezioni, Angelino Alfano voterebbe anche l'eutanasia e la legalizzazione delle droghe. E Bersani e Speranza si bevono i voucher senza fare una piega», scherza (ma non troppo) Alessia Morani. Nei prossimi giorni ci saranno alcuni voti di fiducia su provvedimenti cruciali: la manovrina (con la reintroduzione dei voucher contro cui Mdp fa le barricate) in Senato; la riforma della prescrizione (che non piace ad Alfano) alla Camera. Ma se il renziano Marcucci prevede «grandi difficoltà» per la maggioranza provocate da Ap e Mdp, gli alfaniani rispondono pronti che «la navigazione del governo, per quanto ci riguarda, sarà tranquillissima». E i bersaniani fanno sapere che «non saremo certo noi a far cadere il governo, neppure sui voucher». Il cerino di una eventuale crisi, insomma, viene lasciato tutto in mano al Pd. Matteo Renzi rinvia le valutazioni politiche a lunedì, dopo il voto amministrativo.

Dal Quirinale, «preoccupato» per il dialogo saltato, trapela però un invito ad andare comunque avanti sulla riforma senza «drammatizzare» l'incidente di ieri. «In questa situazione parlamentare si è visto che non è possibile», replicano dal Pd. Dove si fanno i conti delle defezioni interne: i franchi tiratori Pd vengono calcolati in una quarantina, da varie sponde: «Un po' di gente che teme di non venir rieletta, un po' di veltroniani e di ex Ppi di Fioroni, e poi il partito di Napolitano, gli orlandiani», calcola un dirigente del gruppo.

«Re Giorgio parla e i suoi gli rispondono», motteggia un altro. La sfuriata anti-tedesco e anti-scioglimento dell'ex capo dello Stato insomma ha avuto il suo effetto, e per dirla con un renziano «ha armato la mano» della minoranza interna. Che franchi tiratori ci sarebbero stati anche nel Pd si sapeva: «Ma se un contraente del patto, i Cinque Stelle, non avesse tradito in blocco l'intesa che aveva appena sottoscritto, i dissidenti di tutti i partiti sarebbero stati compensati dal margine ampio della maggioranza», spiega Lorenzo Guerini.

«Invece abbiamo assistito ad un congresso grillino in Aula, con Fico che ha seppellito Di Maio, e il patto è saltato».

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