Politica

Matteo irremovibile: no al bis Ora l'ok lampo alla manovra

La legge di Stabilità potrebbe essere approvata con una fiducia tecnica al Senato. Lotti: «Ripartiremo dal 40%»

Il Consiglio dei ministri, in serata, prende atto ufficialmente delle dimissioni di Matteo Renzi dalla presidenza del Consiglio, dopo il risultato del referendum costituzionale. E il premier uscente sale al Colle, dove il capo dello Stato lo attende con una richiesta precisa: restare in carica, congelando le dimissioni, il tempo necessario per approvare definitivamente la legge di Stabilità. Un'ipotesi che Renzi stesso, racconta chi ha partecipato alla riunione del Consiglio, ha illustrato ai suoi ministri. Le dimissioni «politiche» sono quindi già acquisite, quelle tecniche verranno formalizzate appena possibile.

Questione di «alcuni giorni», dicono dal Senato, dove già stamattina è prevista la conferenza dei capigruppo per fissare un rapido calendario. Un passo reso necessario dal fatto che deve essere un governo in carica, nel pieno delle sue funzioni, ad approvare la legge finanziaria. È la proposta che Sergio Mattarella ha illustrato al presidente del Consiglio in un colloquio informale di un'ora nella mattinata di ieri: «Vi sono di fronte a noi impegni e scadenze di cui le istituzioni dovranno assicurare in ogni caso il rispetto, garantendo risposte all'altezza dei problemi del momento», ha scritto il presidente della Repubblica nel comunicato post-incontro. Insomma, il governo di Renzi deve andare avanti per il tempo che sarà necessario ad approvare la legge di Bilancio anche al Senato: il che presuppone che si metta un voto di fiducia «tecnico» e decadano tutte quelle modifiche che anche la maggioranza aveva previsto di apportare a Palazzo Madama. Questo, grazie al farraginoso sistema dell'eterna navetta tra le due Camere salvato dal No al referendum, comporterebbe un ulteriore voto a Montecitorio, e il rischio che Renzi debba restare bloccato a Palazzo Chigi fino a fine mese. «La legge di Bilancio non si può approvare a crisi politica aperta spiega il capogruppo Pd Ettore Rosato - O si fa un nuovo governo e si va avanti oppure se c'è un accordo tra le forze politiche si approva il provvedimento al Senato velocemente. Per la maggioranza - ha aggiunto Rosato - non ci sarebbero problemi a una approvazione rapida del provvedimento».

Per tutto il giorno, a Palazzo Chigi, è salita una processione di ministri, esponenti di maggioranza, dirigenti del Pd. Da Maurizio Martina a Pierferdinando Casini. Dalla vicesegretaria Pd Debora Serracchiani a Graziano Delrio, da Piero Fassino a Paolo Gentiloni a Maria Elena Boschi fino ad Angelino Alfano e Dario Franceschini. Tutti a perorare una causa precisa: non gettare la spugna, non dimetterti da segretario del Pd, resta in sella e salva il partito. Ma nel pomeriggio è un tweet di Luca Lotti, braccio destro fidatissimo di Renzi, a disperdere buona parte dei timori in materia: «Tutto è iniziato col 40% nel 2012 dice ricordando le primarie contro Bersani Poi abbiamo vinto col 40% nel 2014. Ripartiamo dal 40% di ieri». Una percentuale che costituisce un bacino elettorale «tutto e solo di Matteo», spiegano i suoi. Quanto al governo che dovrà sostituire l'attuale, chi ha parlato con il premier esclude un Renzi bis: «Le parole del presidente del Consiglio, mi sono sembrate molto chiare», ammette Franceschini, che pure aveva perorato la causa del restare a Palazzo Chigi.

Il nome più gettonato resta quello di Pier Carlo Padoan resta il più gettonato, anche per mandare un messaggio rassicurante in Europa dove l'altro aspirante, il presidente del Senato Grasso, è del tutto sconosciuto.

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