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May esulta e vede Corbyn. Gelo Ue: "Verso il no deal"

Il pallino torna in mano ai Tory, ma i negoziati si prevedono in salita. Porte chiuse da Bruxelles

May esulta e vede Corbyn. Gelo Ue: "Verso il no deal"

L'umore del mondo conservatore dopo la riscossa di martedì sera, ieri era ben raccontato dall'apertura del Daily Mail, tabloid vicino al governo: «Il trionfo di Theresa». La premier inglese, dopo settimane di rovesci politici, ha avuto la sua rivincita e ha saputo ricompattare attorno a sé un partito diviso. Che tale rimane, ma delle cui lacerazioni si tornerà a parlare fra qualche giorno. Non ieri.

Ieri è stato il giorno in cui il principale leader dell'opposizione, Jeremy Corbyn, dopo aver ripetutamente rifiutato gli inviti di May di sedersi attorno a un tavolo e discutere di Brexit proposta accettata da tutti gli altri partiti di minoranza ha deciso di scendere dall'Aventino. Nel pomeriggio, al termine delle usuali schermaglie durante il question time, i due si sono incontrati nell'ufficio parlamentare del primo ministro. Un incontro politicamente necessario per Corbyn, per rubare parte della scena a Theresa May e non rimanere impantanato in un ostinato e sterile rifiuto al dialogo. «Siamo per la creazione di un mercato comune con l'Ue - ha ribadito - in cui non si facciano passi indietro sui diritti dei lavoratori e le tutele ambientali». «Una posizione interessante - ha cortesemente fatto sapere Downing Street - ma è improbabile che si possa giungere a una posizione condivisa tra le parti».

Chi sta peggio, al momento, sono i laburisti. ll partito è uscito lacerato dal voto di martedì sera, con 7 dissidenti che hanno votato a favore dell'emendamento Brady (per la rinegoziazione con l'Ue della clausola di backstop). Gli stessi che, assieme ad altri 7 ribelli, hanno anche votato contro l'emendamento Cooper per forzare il governo a chiedere un rinvio della Brexit. Voti controcorrente di parlamentari eletti in circoscrizioni pro Leave, la cui posizione fa comodo al partito stesso per difendersi in zone altrimenti perdute. Hanno fatto infuriare molti compagni di partito e molti attivisti, soprattutto tra i sostenitori di un secondo referendum, le cui quotazioni si sono ora ridotte di molto: se il Labour non riesce a stringersi attorno a una mozione contro una hard Brexit, com'è pensabile possa sostenere un secondo voto popolare? La rilevanza politica di questo gruppetto è tuttavia fondamentale per i calcoli dei conservatori che forse, se si dovesse arrivare a votare un nuovo accordo in Parlamento, potranno contare su questo manipolo di dissidenti laburisti.

I Tories: l'inerzia politica si è ora spostata a loro favore, hanno dato un chiaro mandato a Theresa May per riaprire le negoziazioni con l'Europa. Non è una pace definitiva, il Parlamento l'ha ricordato ieri al governo votando a favore dell'emendamento SpelmanDromey che rifiuta un'uscita dall'Ue senza accordo. Un emendamento non vincolante (non prevedeva l'avvio di un processo legislativo) ma che comunque indica al governo qual è la linea rossa invalicabile per il Parlamento, quella su cui i Tories si rispaccheranno se non sarà trovato un accordo con Bruxelles entro due settimane (quando May ha promesso un nuovo voto).

Infine l'Europa: anche ieri è stata mantenuta una posizione comune di chiusura netta a riaprire le negoziazioni. L'accordo trovato a novembre è il migliore possibile e l'unico sul tavolo. Lo ha ribadito Macron, lo ha ripetuto l'Irlanda che ha bollato il tentativo di Londra come un'illusione. Lo ha detto a gran voce Jean-Claude Junker secondo cui da martedì sera «le possibilità di un'uscita senza accordo sono aumentate», lo ha riconfermato Tusk che ha avuto in serata un colloquio telefonico con May.

Durerà questa unità? Mancano 57 giorni.

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